Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
Siamo sempre alle solite perché di fronte ad un fenomeno commerciale e di consenso come quello portato a casa da Che bella giornata, miglior film italiano di tutti i tempi in termini di incassi, superiore persino al mitico La vita è bella, qualsiasi approccio puramente cinematografico appare riduttivo rispetto ad un cinema che più o meno inconsciamente chiama in rassegna aspetti e sentimenti che appartengono alla paesaggio umano della nostra penisola. Personaggio televisivo catapultato sulla ribalta di celluloide Checco Zalone ha avuto il merito di non strafare, di mantenersi con i piedi per terra riproponendo il personaggio che lo ha reso famoso, una specie di Mister Magoo meridionale che si muove leggiadro ed inconsapevole lungo il binario di una follia surreale ma bonaria, fatta di non sense lessicali alla maniera di Nino Frassica, e stereotipi prelevati direttamente dall’immaginario cinematografico di una certa commedia italiana di serie b, soprattutto quella degli anni 80 dei Banfi e poi del primo Abatantuono, entrambi meridionali, entrambi alieni al mondo al quale devono rapportarsi, eppure come Zalone eternamente vincitori grazie alla capacità tutta cinematografica di ribaltare i difetti in virtù. Ed alla stregua di chi l’ha preceduto nello strapotere al botteghino, anche “Che Bella giornata” come già Pieraccioni e molto del cinema di Benigni riprende un canovaccio in cui lo sviluppo della storia dipende in gran parte dal tentativo del protagonista di conquistare la controparte femminile, solitamente distratta da urgenze costruite ad hoc per catapultare il primo in situazioni più grandi di lui e che proprio per la loro esagerazione diventano il principale motivo di ilarità. In questo caso Checco, improbabile addetto al servizio di sicurezza della Madonnina del Duomo di Milano, lavoro conquistato grazie all’aiuto della madre, un altro must dell’uomo italico perennemente dipendente la figura materna, si innamora di Zara, una ragazza marocchina che lo avvicina nel tentativo di organizzare insieme al fratello un attentato terroristico proprio nel sito che lui deve sorvegliare. La drammatica attualità dell’incipit inserita nel mondo farsesco costruito dagli autori perde qualsiasi gravità per diventare uno degli elementi su cui il film gioca le sue carte. Se infatti il personaggio di Zalone è di per sé un outsiders, portatore di anomalie in un contesto di apparente normalità (l’identificazione/empatia avviene infatti al di fuori dello schermo, con lo spettatore che guarda la vicenda seduto nella sala e non con i coprotagonisti di una storia che per far ridere deve necessariamente vivere di opposti), allora l’ ignoranza rispetto ad una veritàconosciuta dal pubblico (la pianificazione della strage) diventa un detonatore emotivo che Zalone sfrutta per enfatizzare le caratteristiche di un personaggio inaffidabile ma vincente, capace di mettere in subbuglio con la forza della propria incoscienza forze dell’ordine e gerarchie religiose, organizzazioni terroristiche e moltitudini turistiche, e nel contempo riflette sulla soglia di una sanità mentale il cui confine finisce per diventare sempre più labile al punto da non sapere più chi è sano e chi è malato. Perché, ed è questa la lezione che si potrebbe ricavare dalla visione del film, se l’esistenza è assurda la cosa migliore è farsi gioco di essa, sbeffeggiare lei e chi le crede, alzando ancora di più il livello di anarchia che la presiede. Una ribellione confermata da un finale in qualche modo anticonformista, con l’eroe che fallisce nel suo intento (a differenza degli illustri colleghi sempre a segno quando si tratta di materia amorosa) ma riparte più forte di prima, entrando a far parte della scorta papale del quale, lo si intuisce da un pacca sulle spalle e dal riferimento culinario, ha già preso le misure. Ineccepibile sul piano della simpatia ed anche spigliato nel riferirsi alla stretta attualità, Che bella giornata non riesce però a diventare film, rimanendo legato ad una logica tutta televisiva che risolve la trama in una serie di episodi anche simpatici ma costretti ad incassare in tempo breve la dote di risate che ci si aspetta da questo genere di intrattenimento. Inoltre a fronte della carica eversiva che investe il personaggio principale fa riscontro un buonismo generalizzato che non risparmia nessuno, dal Vescovo che cerca in tutti i modi di evitare il licenziamento dell’incapace Checco, ai terroristi islamici coinvolti in una cena meridionale che appianerà le differenze culturali ma anche l’antipatico Colonnello dei Carabinieri, coinvolto in una serie di gag del tipo torte in faccia e gavettoni che lo allontanano quasi subito da quella fisognomica trasformandolo in una creatura da slap stick comedy, simile ad una comica di Buster Keaton: niente di male, se non fosse che il cinema è un'altra cosa.
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