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Il mio nome è Scopone e faccio sempre cappotto

Regia di Juan Bosch vedi scheda film

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La recensione su Il mio nome è Scopone e faccio sempre cappotto

di scapigliato
8 stelle

Anthony Steffen saluta per sempre lo spaghetti-western smettendo i panni del vendicatore dal viso triste, e chiude la sua collaborazione al nostro genere con una commedia effervescente, mai banale, ben diretta e montata, che non fa rimpiangere il genere “duro e puro” degli ultimi anni ’60. Ci sono più scazzottate che altro, ma dopotutto il successo di “Trinità” era passato da poco, e le piccole produzioni per sopravvivere al mercato ne dovevano ricalcare la formula vincente. Quindi, il sempre bravo Anthony Steffen lo vediamo passare dal tragico pistolero che aveva sempre incarnato con bravura, alla divertente e simpatica canaglia alla Terence Hill. Il film è spiritoso, rocambolesco e fa sorridere con sincerità. E' uno spaghetti che sarebbe facilmente confondibile con i titoli più dozzinali, visto il proprio titolo che poi neanche c’entra con la storia perchè la tanto bramata partita a poker non si farà, ma in realtà è confezionato con mestiere. Juan Bosch dopotutto è un regista che conosce il genere e sa come muoversi nel tardo spaghetti di metà anni ’70, ovvero quello che sta chiudendo questa epoca d’oro.
Nel film intervengono anche volti tra i più noti del western all’italiana, come Claudio Undari alias Robert Hundar, tra i primi attori italiani a cavalcare nel deserto spagnolo rincorrendo il western classico, qui nelle vesti del cattivo in una mise perfetta: comico e divertente, ma l’aspetto è sempre quello del cattivo ben riuscito. Ma a tener testa al protagonista, come sempre, c’è il messicanaccio per eccellenza: Fernando Sancho, of course. L’attore zaragoziano non è al suo ultimo western, ne farà ancora due negli anni ’80, ma è indicativo il fatto che anche Sancho chiuda l’epoca d’oro dello SW proprio con il fido compagno di cavalcate Steffen. Con quattro film all’attivo (“Sette Dollari sul Rosso”, “Killer Kid”, “Lo Credevano uno Stinco di Santo” e “Il Mio Nome è Scopone, Faccio Sempre Cappotto”), i due sono stati una delle coppie più generose e più azzeccate del panorama western italiano. Forse la coppia migliore dopo Bud Spencer e Terence Hill, di cui comunque riprendevano gli schemi: uno rustico e incazzoso, l’altro simpatico e canagliesco. Al contrario che con Eduardo Fajardo, con cui Steffen girò molti più film (ben 10) e non solo western, l’accoppiata con Sancho non solo era più riuscita per natura, ma tra i due probabilmente c’era un’intesa e un’alchimia genuina. Erano oppositivi e questo faceva girare a loro favore i ruoli che li assegnavano. Anche se va detto che Steffen con Fajardo girò un film “Ringo, il Volto della Vendetta” in cui lui e Fajardo sono amici e non nemici, e in cui poi Steffen vendicherà la morte dell’amico messicano, è con Sancho che s’è accoppiato meglio. Se non altro per la dualità sia fisica che caratteristica dei rispettivi personaggi. Così, a pochi anni dalla chiusura del genere, e ad una manciata, forse meglio dire ad “un pugno di film” dalla conclusione, due dei volti più celebri si trovano coinvolti per la quarta ed ultima volta insieme. I sentimenti e i patetismi non sono annoverati nel dizionario SW, ma il pensiero che corre a loro due non può non tenerne conto.

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