Regia di Renato Castellani vedi scheda film
L’ingenuo romanticismo di questa storia è come un rossore di timidezza mascherato da uno sbuffo di antica cipria. Il respiro del film è tutt’uno con il drammatico ansimo del tempo: l’amarezza per il passare degli anni e le ansie e le speranze per il futuro – che gravano sull’anima del protagonista – si riflettono, nello spettatore, per effetto di una letteraria magia, nel languore della nostalgia per un’epoca remota che pochi di noi hanno conosciuto. Il figlio del bidello Orazio Belli, che ha studiato fino a diventare professore di latino e greco, è il presente che supera il passato fino a sommergerlo, fino a farlo sembrare inadeguato e quasi a coprirlo di vergogna. D’altro canto, il successo del giovane, confrontato con la semplicità del padre, è il progresso che deve fare i conti con il fardello della storia pregressa, con i suoi limiti ed i suoi affanni; è il fiore sbocciato che guarda al suo piccolo germoglio, e non lo riconosce come la sua origine, come parte della sua stessa essenza. La ciclicità della natura ricrea la vita, riproponendone le stesse forme, però le cose non tornano mai identiche a come erano una volta: la sostanza è infatti un prodotto del clima del momento, che riplasma gli esseri a suo modo, distinguendo la prole dai genitori (Lisetta, che assomiglia alla madre solo nell’aspetto) e inducendo anche l’esistente a cambiare, a seguire il vento (il maestro Giraldi, che abbandona l’insegnamento per darsi alla politica, e diviene un gerarca fascista). Il cambiamento, nella continuità dell’esistenza, è il processo attraverso cui la Storia avanza, rimedia ai propri errori e sbaglia ancora, distrugge per ricostruire o per dimenticare; per l’uomo, però, questa travagliata crescita del mondo è causa di perdita, di delusione, di sconfitta, ed è la fonte universale di ogni forma di dolore.
Il realismo di Mio figlio professore – solidamente incarnato dalla figura di Aldo Fabrizi – è quello tenace che, nel corso del racconto, non cede al mutare delle mode e delle atmosfere, e non si piega alle altalenanti esigenze dello sviluppo narrativo. Al centro della storia c’è una persona come tante, che attraversa il tempestoso oceano della vita aggrappata alla sua modesta nicchia, in cui continua ad amare, a sognare, a lavorare come sempre, incurante dei cambi di scenario, ed intenta solo a proseguire fino in fondo il suo cammino.
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