Regia di Amat Escalante vedi scheda film
Film d'esordio per Amat Escalante, che firma un dramma cupo e volutamente inerte, rassegnato, di una umanità incolore brutta ed abbruttita che non ha più nulla da esprimere, nulla da dire, da amare; nessuna esperienza da comunicare, da vivere o condividere. Ricevendo in cambio un riconoscimento al Certain Regard di Cannes 2005.
Vivere per vivere: lasciarsi scorrere l’esistenza addosso, inserirsi in un sistema obbedendo alle regole di base, riducendo l’esistenza ad una serie di tappe forzate che contraddistinguono giornate tutte uguali, meccaniche, senza che un guizzo di intraprendenza o di interesse personale specifico possa illuminare anche un solo istante di un processo routinario senza tregua.
Questo è il contesto che condividono un uomo ed una donna di mezza età, conviventi in un appartamento scialbo e sciatto, arredato senza una minima personalizzazione come fosse una stanza di un albergo mediocre, presso un quartiere come tanti a Città del Messico: una coppia per nulla attraente, e che non fa nulla per risultarlo (lui afflitto tra l'altro da un forte strabismo), ma anche per nulla disposta a valorizzarsi, a concentrarsi verso una qualche sorta di interesse che non sia il percorso consueto casa-lavoro: lei cameriera in un sushi-bar, lui usciere presso un ente statale: due persone grigie, anche nei momenti di intimità, che li vedono unirsi sessualmente, in circostanze di certo prestabilite da appuntamenti settimanali ricorrenti, con una dinamica dalla sconcertante meccanicità: senza una parvenza di sentimento, come bestie da allevamento nel rispetto di un rituale che non prevede variazioni di sorta.
La sera trascorsa davanti ad una televisione che trasmette i soliti programmi, assimilati in modo acritico e automatico.
Una scossa di novità viene percepita all’interno della coppia nel momento in cui riappare la figlia che l’uomo concepì da una precedente relazione: una ventenne afflitta da grave dipendenza dalla droga, e per questo rinnegata o comunque non accettata in casa per espresso rifiuto da parte della compagna dell’uomo.
Il dramma che sottostà al ricongiungimento dell’uomo con la figlia, sancisce, nel gesto devastante del padre, che abbandona il corpo senza vita della figlia morta di overdose in una squallida stanza d’albergo in un cassonetto, la conferma di un abbruttimento che snatura il senso della vita, rendendo i nostri due individui mediocri e grigi, due tasselli incolori e alieni, due ingranaggi secondari e inetti che sopravvivono alla mediocrità divenendone parte integrante ed esemplare.
Escalante, balzato alla notorietà quest'anno al Festival veneziano in seguito agli scaldali sessual fantascientifici del suo controverso ed affascinante La Region Salvaje (The Untamed), firma per questo suo esordio nel lungometraggio, un dramma cupo e volutamente inerte, rassegnato, di una umanità incolore brutta ed abbruttita che non ha più nulla da esprimere, nulla da dire, da amare; nessuna esperienza da comunicare, da vivere o condividere.
Splendide inquadrature, spesso fisse, che intagliano quadri surreali di vita "aliena" ove il desiderio e la passione si esprimono unicamente come istinti animali che non riescono mai a comunicare vera, incondizionata partecipazione "cerebrale", ma solo un rituale che si ripete stancamente come una liturgia pagana non suffragata da sincera motivazione.
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