Regia di Brad Anderson vedi scheda film
Tra sci-fi e horror. Buona l'idea di partenza, ma il film non decolla.
Siamo a Detroit, un improvviso black out provoca la misteriosa sparizione dei corpi delle persone; per le strade restano solo abiti vuoti e auto abbandonate, umanità cancellata, scenario apocalittico, mentre ombre inquietanti si allungano, avvolgendo e fagocitando i pochi superstiti. Sopravvivono solo quelli che per un qualche motivo portano con sé una luce: il farneticante proiezionista del cinema, una donna ex tossicodipendente che da pochi mesi ha avuto un bambino, un giornalista della tv nazionale, un ragazzino di colore; costoro si rifugiano all'interno di un bar, ancora illuminato grazie ad autonomi generatori; dopo le prime scaramucce provano a collaborare. La luce sembrerebbe l’unico deterrente, per contenere queste entità misteriose, ma c’è n’è sempre meno, la durata del giorno è inspiegabilmente diminuita, è quasi sempre notte.
Anderson il regista riferisce: “L’oscurità in sé non è necessariamente spaventosa. Quello che può far paura è ciò che il buio nasconde. Se una cosa è avvolta dalle tenebre non possiamo descriverla”.
In questo dualismo luminosità/buio, ci si può avventurare in qualche fantasiosa chiave di lettura: come metafora della contrapposizione fra coscienza vigile e sonno della ragione o si può intendere come simbologia religiosa, il ragazzino in chiusura si reca sull’altare illuminato di una chiesa, forse a sfidare gli abissi dell’oscurità demoniaca o più prosaicamente le ombre potrebbero rappresentare le anime dannate venute a ghermire i viventi.
L’idea di partenza è obiettivamente intrigante, suffragata dalle suggestive inquadrature, girate grazie all’indiscutibile talento estetico di Anderson, regge per un po'; tuttavia nel prosieguo la regia perde di vista la storia, scadendo in situazioni ripetitive, che spezzano il climax tensivo, mentre i quattro sventurati cercano fonti di luce, si perviene stancamente a un finale ambiguo e deludente.
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