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RCL - Ridotte capacità lavorative

Regia di Massimiliano Carboni vedi scheda film

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La recensione su RCL - Ridotte capacità lavorative

di Spaggy
4 stelle

Piccola premessa: opinione scritta da uno spettatore di sinistra che non ama il compiacimento fine a sé stesso del regista e della troupe del film in questione.


Esperimento mal riuscito di coniugare informazione, politica, cinema e linguaggi tramutati dai reality show. Quando il "Grande Fratello" incontra "Ballarò" o "Report" (nonostante se ne prendano le distanze), il risultato è soltanto un ibrido senza testa tra quello che era nelle intenzioni del regista e quello che invece ne è venuto fuori.

Voleva essere un film di "surrealismo civile" ma l'unico surrealismo che si nota è quello che coglie l'a-spettatore, commistione tra "colui che aspetta" e "colui che guarda privandolo del piacere stesso di guardare". Si ha la sensazione di essere di fronte agli "extra", al "making of", di un dvd, realizzato in maniera casereccia e sulla possibilità di cavalcare l'onda di problematiche operaie (la produzione Fiat di Pomigliano, il referendum dei lavoratori, la catena di montaggio) per spillare dieci euro proprio a quei lavoratori che sperano di veder rappresentata la loro precaria situazione, caratterizzata da nessun diritto, da schiavitù, da alienazione e dalla loro stessa spaccatura su due fronti..

Girato per lo più "dal vero", con piani sequenza di morettiana memoria nelle scene "all'improvviso" (e non "improvvisate", termine che si adatterebbe bene a tutto il progetto), il film è caratterizzato da una serie di interviste: da quella del sindaco (paradossalmente di destra in un paese di operai, ma questa è la nostra Italietta) a quella del parroco (quasi di sinistra, Peppone e Don Camillo invertiti di ruolo), da quella del sindacalista FIOM a quella degli operai. Interviste caratterizzate dal rimpianto di "ciò che era la società prima della globalizzazione" (si potrebbe imbastire un discorso sulla sociologia dei processi culturali, mostrando che forse il pericolo non è la globalizzazione in sé ma gli effetti che i "globalizzati" non riescono a reggere e sorreggere), una società agricola basata sul lavoro in proprio e sul culto del cortile domestico, inteso sia in senso fisico che metaforico... E poco importa se poi Pomigliano d'Arco (come Giovanna, per accentuare la devozione ma anche il sacrificio) abbia goduto del benessere che quella stessa globalizzazione ha apportato al paese (cosa accennata da una delle mogli "imprenditrici" degli operai: "prima si compravano le mutande, ora no... non se le cambiano più?")...
Paradossalmente allo spirito del documentario poco giovano le parole degli stessi operai: danno in chi assiste alla loro conversazione la sensazione di essere preso per i fondelli da parte del regista che, più che soffermarsi sulle cause delle loro agitazioni e paure, si diverte a mostrarci il loro scontro di opinioni fondato sullo stesso argomento: nel bene o nel male, tutti vogliono che la Fiat continui a produrre sul luogo.

Se l'idea di partenza della realizzazione del metafilm, il film nel film, poteva essere interessante, è la stessa realizzazione tecnica che langue. Non si venga a dire che l'effetto realtà è garantito dal mostrare videocamere digitali, giraffe o fogli di copione: si fa così anche nei mockumentary horror ma con meno pretese sociali. E il paragone con l'horror non è azzardato, la trama e l'argomento sarebbero stati in sintonia.
Fastidioso, quasi fino all'esasperato eccesso, Paolo Rossi. In 72 minuti di girato riesce quasi sempre ad estraniarsi da tutto il resto, dando l'impressione di essere lì solo per terminare il suo "compitino", per dire "Io ci sono, io c'ero con voi operai": riesce a calamitare l'attenzione su di sé nella scena clou della cena degli operai interrompendo la discussione sulle difficoltà del mettere a mondo dei figli con il racconto della sua procreazione.

La tanto sbandierata idea di paragonare la catena di montaggio a una scala mobile finisce per essere un boomerang: neanche con le immagini finali, girate su una vera scala mobile, riescono a rendere l'idea della difficoltà... altro che inverosimile manzoniano, ricordato da una donna intervistata davanti alla sede dell'EuroItalia!
E per rendere più credibile l'ambientazione partenopea allo spettatore "nordico", l'autore, seppur napoletano, Alessandro Di Rienzo, non si è fatto mancare nessun elemento da cartolina: pizza, mandolino, tarantella, Vesuvio, calcio, Nino D'Angelo e Shakira...

L'autocompiacimento formale oscura le tematiche del film, rendendolo quasi anti-operaio: davanti all'operaio e non sull'operaio. Alla fine sembra quasi che le "Ridotte capacità lavorative" siano solo quelle dell'intera troupe...
Un unico rammarico: non aver sentito Nino D'Angelo intonare il "Manifesto" di Marx!
E che Chaplin perdoni il fatto di essere stato disturbato per la richiesta iniziale e per l'ex voto finale...



L'opinione richiede necessariamente le stellette, un voto... 5 stelle alla tematica ma "Non Classificato" alla messa in scena.

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