Regia di Richard Loncraine vedi scheda film
Le traduzioni in italiano dei titoli dei film stranieri sono note per essere spesso di cattivo gusto, ma in questo caso si passa il segno perché Clinton era in effetti presidente, ma Blair "solo" primo ministro, quindi il titolo semplicemente non ha senso. Tra l'altro, dalla visione della pellicola ho dedotto che la "relazione speciale" fosse quella tra Clinton e Blair, mentre è, in generale, quella tra Stati Uniti e Gran Bretagna, e nel corso della storia, in particolare, è stata quella tra Churchill (inventore dell'espressione) e Roosevelt, Macmillan e Kennedy, Wilson e Johnson, Heath e Nixon, Callaghan e Ford, Callaghan e Carter, e soprattutto tra Reagan e la Thatcher, definiti spesso "anime gemelle ideologiche". Tra l'altro, il progetto iniziale del film prevedeva anche il rapporto tra Blair e Bush, ma poi si preferì concentrarsi su quello tra i due già citati protagonisti. Il film non è, per forza di cose, un capolavoro, ma una ipotesi molto interessante sul rapporto tra due statisti, uno squarcio istruttivo sulle motivazioni e le meccaniche che portano a decisioni che influiscono sulla vita, e purtroppo anche sulla morte, di milioni di persone. E' un po' come una storia d'amore: ci si incontra perché si hanno interessi comuni, si scopre una certa affinità ed empatia reciproca, ci si scontra quando le proprie strade portano in direzioni diverse, e ci si lascia quando gli eventi ed il fato travolgono i destini umani. Il cast è buono ma poteva essere migliore (Russel Crowe, Philip Seymour Hoffman, Alec Baldwin e Tim Robbins erano stati presi in considerazione per il ruolo di Clinton e Julianne Moore avrebbe dovuto interpretare Hillary ma aveva già firmato per "The Kids Are All Right"), bene montaggio, fotografia e scenografia (da sottolineare le spettacolari riprese alla Casa Bianca e nella residenza estiva di Blair) buoni gli effetti speciali con i finti reportage, da lodare la sceneggiatura che, senza essere pedante o esageratamente "tecnica", narra la vicenda in modo accessibile a chiunque. Male che vada, un buon documentario. Premi ottenuti: cinque nomination agli Emmy.
1992: uno spaesato e sconosciuto Blair arriva a Washington per apprendere dai consiglieri di Clinton come vincere le elezioni. La scena si sposta a Parigi, 1996: alla vigilia delle elezioni, Blair incontra Chirac e viene invitato a Washington per conoscere Clinton, che gli predice una vittoria schiacciante. Da qui prende il via il loro rapporto, che si dipana tra le difficoltà dell'americano (l'affaire Lewinski) e quelle dell'inglese (l'intervento in Kosovo), fino all'elezione di Bush che segna la fine dell'idillio.
La regia è efficace, misurata, scorrevole e del tutto adatta ad un'opera di questa natura.
Alla terza interpretazione di Blair (dopo "The Deal" del 2003 e "The Queen" del 2006) se la cava indubbiamente bene, ma ha la sfortuna di assomigliare al fratello meno scemo di Mr. Bean, insomma non ha una briciola dell'appeal del vero Tony Blair. Non è colpa sua, ma è un peccato.
Per assomigliare a Clinton è ingrassato 16 chili mangiando tutti i giorni da McDonald's e si è fatto "sbiancare" i capelli, oltre a studiare il suo accento particolare. Il risultato è credibile, direi il migliore dei quattro personaggi principali, e gli è valso una nomination agli Emmy.
Chiamata all'ultimo momento al posto di Julianne Moore, anche la Davis ha subìto interventi per renderla più simile al personaggio interpretato: parrucca, denti falsi ed abbigliamento particolare, ma non ha cercato di imitare Hillary nell'accento, che dice sia cambiato nel corso degli anni in base ai luoghi dove ha vissuto. Anche per lei una nomination agli Emmy.
Discorso inverso a quello fatto per Michael Sheen: in questo caso è Helen McCrory a sprizzare fascino e seduzione, mentre la vera Cherie Blair è ridicola come un'attrice degli slapstick anni venti. Ma per carità, non si può biasimarla per questo: buona prova.
Interpreta Alastair Campbell, uno dei due angeli custodi di Blair. Ottima presenza ed ottima prova.
Interpreta Jonathan Powell, capo dello staff di Blair, una carica creata da quest'ultimo al suo insediamento. Anche in questo caso la prova è molto buona.
Interpreta il presidente francese Jaques Chirac. E' la prova che mi ha convinto meno, sembra il dittatore della repubblica delle banane.... insomma, un po' troppo caricaturale, io il vero Chirac me lo ricordo molto diverso.
Interpreta il consigliere per la politica estera. Parte non di rilievo.
E' l'ufficiale di protocollo che introduce Blair alla Casa Bianca. Poche parole ma lascia il segno.
E' il consigliere che all'inizio dà le dritte a Blair per la riscossa elettorale. Ruolo breve ma significativo.
Una vecchia canzone di Cole Porter all'inizio, "Friendship", ed una di Conway Twitty alla fine, "Lonely Blue Boy", due scelte molto azzeccate, e qualcosa di orchestrale qui e là. Non si poteva pretendere di più.
Se Michael Sheen avesse ricordato un po' più il vero Blair sarebbe stato meglio, ma va bene anche così.
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