Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
L’ultima opera del regista più imprendibile. Il testamento artistico dell’apolide del cinema che ha saputo passare attraverso ogni linguaggio e stile. Qui decide di ricreare una certa nobiltà portoghese ottocentesca impegnata, nel proprio molto tempo libero, nei giochi di seduzione e nei rapporti amorosi. Amori contrastati al punto che i figli di questi non possono che essere destinati a delle esistenze travagliate sofferte e sradicate. Ruiz segue le storie dei vari attori, nel tempo legati uno all’altro, per arrivare alla fine a chiudere compiutamente il cerchio della narrazione. La struttura minimalista e intrecciata potrebbe essere quella di un qualsiasi sceneggiato televisivo in costume. Il nostro non aveva paura di <<sporcarsi>> le mani con ogni forma creando nella sostanza un opera pura e avvolgente senza mai essere frivola. Il Come si racconta conta più del Cosa e per un regista capace di fare cinema con tutto qui significa fare quasi solo piani-sequenza o inquadrare una carrozza dal lato sbagliato guardando gli attori solo attraverso la porta della stessa. Quando si passa da una stanza all’altra non si fa finta che esistano i muri dietro quello che guardiamo si passa semplicemente esternamente. La struttura da soap-opera empatica e ingarbugliata viene rallentata, purificata dagli elementi scabrosi per concentrarsi nella costruzione di quadri in movimento che ci fanno entrare subito in sintonia con i personaggi e le loro schermaglie melodrammatiche. Ruiz abbandona i giochi intellettuali e le scale di Escher , nell’ultimo episodio ritorna l’onirico e l’irreale come una urgenza propria di lasciare anche qua qualcosa di misterioso. Nell’ultimo viaggio del nostro sembra avverarsi quella profezia borgesiana per la quale ogni autore col passare del tempo e delle opere cerca nella apparente semplicità la modesta e segreta complessità dell’arte e della vita.
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