Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
Da un romanzo ottocentesco di Camilo Castelo Branco, Raoul Ruiz trae un autentico kolossal della narrazione cinematografica. La storia di Pedro Costa, alias João, figlio nato da un amore clandestino tra due giovani dell’aristocrazia portoghese, è un percorso che viaggia nel tempo, a bordo di un flusso di parole che cambia ripetutamente origine e punto di vista, ma si mantiene rigorosamente nel solco della consequenzialità, della concatenazione causale, dell’esposizione didattica. I vari personaggi si alternano nel ruolo di narratore, ed il passaggio del testimone, che implica un radicale cambio di prospettiva, avviene sempre in maniera del tutto naturale, all’interno di un dialogo che si sviluppa nella rievocazione di un ricordo, nella spiegazione di un antefatto, nella rivelazione di un segreto. Nello stesso istante cambia lo scenario, che ci porta immediatamente dentro quella particolare parte del racconto, lasciando che i personaggi in carne ed ossa prendano il posto della voce narrante, rappresentando il passato come gemmazione del presente. In questo film l’oggi si espande con continuità verso lo ieri, in una maniera non soltanto logica, ma anche visiva: profondità e simultaneità sono i principi ispiratori di regia e fotografia, che riprendono la suddivisione teatrale tra primo e secondo piano, tra azione e scenografia. L’uomo, posto al centro di un vasto salone con decori ed affreschi, è il figlio della propria epoca, che, però, vive la propria vicenda personale in maniera autonoma rispetto alla storia del mondo. A quello sfondo, indifferente e distante, appartengono anche le figure umane che si intravedono in lontananza, attraverso una porta collocata all’estremità del corridoio: il protagonista è il caso singolo che si evidenzia rispetto alla massa indistinta che gli fa da contorno, in virtù di quel particolare destino individuale che soltanto a lui appartiene. L’immagine, distribuita su due livelli, indica quindi, simultaneamente, la presenza di un contesto e il distacco da quest’ultimo: ed è precisamente questo dualismo a generare le tragedie che stanno alla base della storia, in cui la spontaneità del sentimento e l’onestà della coscienza si contrappongono alle vigenti regole sociali. La tensione tra naturalezza e rigidità, sul piano morale, definisce il dilemma, scatena la ribellione, infligge il dolore; sul piano estetico, invece, dà vita a quell’armonia che si chiama sobrietà, e che porge allo sguardo una bellezza ricca, solenne e curata, però mai sfarzosa. Mistérios de Lisboa ritrae la grandezza del dramma col bilancino della verità, forte di quello splendido equilibrio che si traduce in un realismo preciso ed essenziale, duro nel contenuto, però dispensato con infinita grazia.
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