Regia di Anahí Berneri vedi scheda film
Julieta porta al pronto soccorso il figlioletto Teo, che, cadendo accidentalmente in casa, si è fratturato un avambraccio. E subito scatta la denuncia per maltrattamenti. Questo film è costruito interamente intorno all’atmosfera di sospetto dalla quale la donna si sente circondata mentre, durante la notte passata in ospedale in attesa del ritorno del marito da un viaggio di lavoro, si sente aggredire dai sensi di colpa, per non essere stata sufficientemente attenta, né abbastanza abile per calmare il bambino. Magari, per accontentarlo, ha accondisceso un po’ troppo al suo desiderio di correre e di fare la lotta. E poi c’è quell’impiego che la costringe a sedere al computer indossando le cuffie, distraendola da ciò che le capita intorno. È bastato un attimo perché il piccolo salisse sulla motocicletta di plastica di suo fratello maggiore, dando origine ad una furiosa lite che Julieta ha potuto interrompere solo intervenendo energicamente, e causando involontariamente il volo di Teo dal sellino alla sponda del letto. Il realismo del difficile mestiere di mamma è una successione di situazioni che non si può raccontare a parole: nei primi quindici minuti del film, la macchina da presa compie giri vorticosi e forsennati tra le stanze dell’appartamento, cercando di seguire i convulsi movimenti dei tre personaggi, tra la vivacità fuori controllo dei due bimbi e i disperati tentativi della madre di farli stare tranquilli. L’azione scappa continuamente dall’inquadratura, in un groviglio di corpi e gesti che diventa automaticamente ambiguo, confuso tra gioco innocente e violenza che può far male sul serio. La stanchezza semina il nervosismo e fa perdere l’orientamento. Dalle buone si passa facilmente alle cattive, quando la pazienza si è esaurita e le circostanze sembrano tali da richiedere l’uso della forza. I calcoli si sbagliano in un istante di rabbia, e una manovra infelice può produrre gli stessi effetti di una percossa. Le lesioni fisiche sono evidenti e clinicamente documentabili, mentre le prove dell’innocenza di Julieta sono confinate in un mondo invisibile, in cui la donna è sola, alle prese con un compito che talvolta diventa sovrumano. L’ambiente ospedaliero è una dimensione ordinata e asciutta, in cui tutto è affidato al rigore del protocollo, che non tiene conto delle imprevedibili sbavature della vita reale. Julieta non può spiegare cosa sia veramente successo, né sa come difendersi, anche perché lei stessa comincia ad essere insicura delle proprie ragioni. Sente di aver commesso incolpevolmente un errore, ma, nel contempo. è indotta a credere che quest’ultimo si sarebbe potuto evitare, se solo avesse agito diversamente, mantenendo la calma, non mettendosi a lavorare, chiedendo aiuto a sua madre. Il dubbio riecheggia tra le pareti degli ambulatori, dei corridoi, delle stanze di un’istituzione che affretta i giudizi sulla base di semplici segni sul corpo, che potrebbero appartenere a tante storie diverse. Ematoma uguale abuso è un’equazione già pronta che la complessità del quotidiano potrebbe disarticolare, se solo riuscisse a riassumersi in una formula altrettanto concisa ed univoca. Invece, in quella intricata, frenetica sintassi di momenti vissuti, Julieta si smarrisce, non riesce a parlare, e quindi tace, come chi ha qualcosa da nascondere. A volte l’ingiustizia e la stessa assurdità si avvalgono di schematismi che la prassi trasforma rapidamente in principi. Julieta è vittima di una semplificazione preventiva che, di per sé, è in grado di arrecare danni irreparabili. Non importa sapere come proseguiranno le indagini, se si arriverà ad un processo, e quale sarà la sentenza. L’amore è già stato offeso dall’ufficializzazione di una congettura. E non gli resta che autosospendersi, abbandonandosi al sonno, nella speranza di potersi presto risvegliare dall’incubo. Por tu culpa punta l’obiettivo su una presenza immateriale, ma terribilmente pesante. È il cinico spettro dell’ipotesi che diventa certezza per chi non sa e non vede. Un alone incolore e soffocante che strangola le sue vittime per pura cecità.
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