Regia di Christopher Morris vedi scheda film
Incredibile ma vero. Ci si può sbellicare dalle risa di fronte ad un gruppo di terroristi islamici che preparano un attentato suicida. E il cinismo dello spettatore, in questo caso, non c’entra per nulla. È, invece, lo scontro tra l’assurdità dell’integralismo religioso, da un lato, e la banalità della vita e la mediocrità dell’uomo, dall’altro, a causare (in tutti i sensi!) un inarrestabile effetto “bomba”. L’inglese smozzicato e pittoresco dei protagonisti - fondatori, nella città di Londra, di una sgangherata cellula jihadista pakistana – scandisce la battagliera logica della Guerra Santa a suon di proclami altisonanti e metafore colorite (che spesso diventano sfacciatamente scurrili), tra funamboliche elucubrazioni strategiche e paradossali iniziative di copertura. Nasce così una grottesca avventura a cinque, che sembra aver rubato alla saga di Fantozzi l’irrefrenabile predisposizione all’autolesionismo ed alla sfortuna che ostacola i pavidi. Il fanatismo, che obnubila la mente, rende i personaggi non solo ciechi, ma anche e soprattutto imbranati, con una tendenza ad assecondare la volontà divina che solleva automaticamente dall’onere di un pensiero autonomo e costruttivo. Il pasticcio, innescato dalla sospensione fideistica dei circuiti cerebrali, è ulteriormente ingarbugliato dalla precipitazione indotta da una missione avvertita come impellente ed epocale, che chiama (almeno in teoria) con la potente lusinga del paradiso. A dire il vero, in questa storia i passi falsi sembrano causati, più che dalla fretta di salire al Cielo, dal nervosismo tipico dei principianti, dall’ansia di essere beccati e, soprattutto, dal terrore di fare una figuraccia davanti a Dio e agli uomini. Morire da martiri è la somma aspirazione di Omar e compagni, ma è anche, palesemente, un compito ben al di sopra della loro portata: questo clamoroso contrasto, di cui i diretti interessati si ostinano a non voler prendere atto, è l’abissale divario sul quale la vicenda è costretta a mantenersi in equilibrio, assicurando, con le sue goffe ed acrobatiche evoluzioni, una continua tensione tragicomica. In Four Lions l’umorismo nero, supportato da una serie di geniali trovate, si basa sul realismo dell’imperfezione, anziché sull’irriverenza del sarcasmo: una pacifica constatazione, anziché un atteggiamento polemico, che tutto demolisce e sfata, semplicemente mostrando quanto siamo piccoli noi umani, e come, in fondo, anche il tanto celebrato Destino non sia poi gran cosa.
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