Regia di Eran Riklis vedi scheda film
Dal romanzo omonimo di Yehoshua, il regista di Il giardino dei limoni e La sposa siriana trae un’opera “impegnata”. Che sfocia, però, in un simbolismo piuttosto risaputo e non arriva alla lucidità d’analisi a cui aspirerebbe. È troppo facile presentare un protagonista che, sì, è colpevole di non essere aggiornato sui dipendenti di cui sarebbe responsabile, ma in realtà nemmeno del tutto. Infatti del licenziamento dell’immigrata vittima del terrorismo non è mai stato informato, inoltre viene manipolato dalla proprietaria, che cerca di fare di lui un capro espiatorio mediatico, ed è dunque una vittima a sua volta. Si aggiunga poi come il giornalista che indaga la spinosa faccenda dell’operaia morta e dimenticata dall’azienda, sia poco più della macchietta di un avvoltoio (tanto è vero che mangia voracemente in situazioni funebri). L’odissea del corpo da riportare nella spettrale Romania sfocia nel filone on the road, con consuete prese di coscienza e incidenti di percorso che trasformano un carro armato in carro funebre, perché in fondo portano entrambi la morte. La disumanità del sistema produttivo passa così in secondo piano, e ci si rifugia in più sicuri territori intimistici, non senza mestiere ma nemmeno con convincente passione.
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