Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film
T(h)orrenziale è l’universo Marvel Comics con tutti i suoi supereroi, mondi vicini e lontani, realtà piegate e (ab)usi infiniti di credenze popolari, leggende, saghe e idoli. Dalla complessa mitologia scandinava, Stan Lee attinse quanto gli bastava per creare un nuovo personaggio, Thor, su cui è incentrato questo ennesimo adattamento di un fumetto della celeberrima casa editrice statunitense; e non sarà sicuramente l’ultimo, giacché sono prossime numerose produzioni, tra cui Captain America (di imminente uscita) e, soprattutto, Vendicatori (The Avengers), che riunirà i maggiori eroi Marvel, come annunciato in seguito ai titoli di coda di questo film.
Thor, figlio del padre degli Dei e del Regno di Asgard, Odino, del quale ne è l’erede designato, è un valoroso e (pre)potente guerriero - armato dell’invincibile martello Mjolnir che gli conferisce poteri eccezionali - che, coadiuvato da un gruppo di amici-combattenti e dal fratello Loki, disobbedendo ad un preciso ordine paterno, parte per il mondo abitato dai giganti di ghiaccio in cerca di vendetta, non curandosi così, di rischiare non solo la propria vita ma anche quella degli altri e dell’intero popolo di Asgard.
T(h)ormentato e incollerito per la condotta arrogante, dissennata e stupida dell’amato figlio, Odino ne ordina la cacciata e lo esilia, privandolo di ogni potere, sulla Terra. Qui, atterrato nel New Mexico, viene investito dalla bella scienziata Jane Foster che, con l’aiuto del professor Selvig e della stagista Darcy, lo soccorre. Non molto lontano precipita pure il martello, divenendo oggetto di curiosità prima, e di ricerche da parte di una misteriosa agenzia federale dopo. Thor dovrà affrontare la diffidenza dei mortali, le proprie “debolezze” di dio ridotto a semplice uomo, e la mente diabolica che sta dietro a tutte le sciagure e che minaccia di far crollare Asgard, ovvero il fratell(astr)o Loki. Nel frattempo troverà l’amore per l’astrofi(si)ca Jane.
T(h)ornato alla regia dopo il remake di Sleuth, Kenneth Branagh dirige questa pellicola che nasce però già delimitata da paletti ben definiti e poco aggirabili, quelli cioè imposti dalla galassia Marvel in tutti gli altri suoi film e riconducibili pertanto ad un’unica concezione. Ciò è forse un bene (anche al fine di poter realizzare The Avengers); per Branagh significa muoversi entro confini rigidi che non può spostare, ma solo rispettare e controllare. Mentre la sua (grande) mano è avvertibile soprattutto nelle scene da tragedia che gli sono consuete - rapporti familiari, lotte per il potere, l’invidia, l’adesione al proprio destino ecc. - ambientate nei fastosi edifici reali, risulta più “adagiato” e convenzionale in quelle “terrene”, simile agli altri film della specie. Ma in definitiva, visti gli esiti, la sua scelta (sostanzialmente una scommessa, date le premesse) si è rivelata quantomeno azzeccata.
T(h)ortuose e magnifiche sono le costruzioni sia di Asgar che del Regno dei Ghiacci, nella loro articolata ed elaborata proposizione di due mondi (e modelli) diversi ed uguali tra loro, rappresentanti un’epica affascinante e remota (ad esaurirsi). L’innato senso di “grandezza” del regista (vedi Hamlet), che ne ha assoluta padronanza, ha sicuramente trovato terreno fertile nella ricostruzione grafica di maestosi e sinistri luoghi dall’ambigua e poderosa forza divina e (ig)nota; Branagh dirige con ritrovata (e probabilmente compiaciuta) vigoria, ben supportato da scenografie concretamente spettacolari e curate, e da validi effetti speciali (pur se, al solito, invadenti e con l’ausilio di un 3D inutile). Ne deriva pertanto un impatto visivo attraente ed enorme, che contrasta con quello terreno, più banale e codificato e “costretto” agli intrecci con il sottobosco Marvel (l‘agente Coulson, già visto nei due Iron Man, i richiami allo stesso Tony Stark, l’apparizione di un arciere - l’attore Jeremy Renner - che sarà uno dei Vendicatori). Altro difetto della pellicola è la sceneggiatura che presenta, comme d'habitude, incongruenze ed imprecisioni, dialoghi banali e ad “effetto”, oltre ad un’abituale mancanza di originalità in sue diverse componenti: ad esempio, l’eroico gruppo di amici alleati di Thor ricorda la “Compagnia dell’Anello”, con in particolare il barbuto Volstagg che è una copia del Nano Gimli; oppure con il solito, inoffensivo umorismo dalla facile presa e per niente caustico che permea soprattutto quanto accade sulla Terra (vedi gli zoticoni americani che fanno della caduta del martello uno spettacolo, con tanto di griglia). Avesse potuto metterci le mani Kenneth Branagh! … il quale ha però dalla sua una qualità riconosciuta e non così frequente: è un fantastico direttore di attori.
T(h)orva ed evanescente è la figura, bruna e glaciale, sottilmente maligna, di Loki (un pregevole Tom Hiddleston), il cattivo, rivestito di un livore quasi patetico nelle sue fondamenta. E nella sua fine. Con sembianze di un Data assimilato dai Borg (Star Trek: The next generations), ed in contrapposizione all’aura angelica del fratello Thor, ha tutti i requisiti e sfortune (e le ovvietà) per catturare le simpatie, risultando così il personaggio più riuscito e convincente. Anthony Hopkins tratteggia con (apparente) inerte partecipazione ma con impareggiabile carisma un Odino vecchio e saggio, ma ancora imperioso e deciso; al suo fianco la moglie, interpretata da Rene Russo, che ha poche e irrilevanti scene. Il cast, quindi, è lussuoso ed eterogeneo, prova ne sono anche Natalie Portman (la scienziata che s’innamora di Thor), come al solito brava e deliziosa; la scoperta Kat Dennings (la stagista, studiosa di scienze … politiche) alla quale sono riservate le poche battute felici ed il grande Stellan Skarsgård (il professor Selvig), che per la sua stessa natura è incapace di recitare male. E il protagonista?
T(h)orace fieramente scolpito e pettorali di ascendenza quasi soprannaturale, il biondo Chris Hemsworth (che piacerà, e non poco, alle donne, specialmente quelle manzivore) ha indubbiamente il “phisique du role” per interpretare Thor. Inaspettatamente, rivela anche qualche barlume recitativo di discreta fattura (merito di Branagh?), ed è buona l’alchimia sia con Natalie Portman che con gli altri. Il personaggio, dalla intuibile parabola “buonista”, non offriva granché, a partire dalle scontate interazioni con i “mortali”, con tanto di modi al contempo bruschi e galanti, che ricordano I visitatori. Un peccato non averlo potuto (e voluto) sviluppare in maniera più efficace e meno prevedibile.
T(h)orpore e noia certo non animeranno chi assisterà alla visione di Thor, in definitiva uno spettacolone piacevole e divertente che va preso per quello che è: puro intrattenimento. Non cercate altro, non t(h)orturatevi!
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