Regia di Andrei Eshpaj vedi scheda film
Operazione decisamente ambiziosa, quella di Eshpay: non è certo a cuor leggero che si può mettere in cantiere la trasposizione del romanzo di Dostoevskij, uno dei suoi testi più celebri ed un lavoro di notevole lunghezza e complessità nell’intreccio, come del resto nelle corde dello scrittore. E, rimanendo nei canoni di Dostoevskij, tanto rumore, tanti personaggi e tante faccende producono come sempre una serie di riflessioni sulla società sua contemporanea, ma anche sull’animo e sul carattere umani. Qui i protagonisti vengono pressochè tutti umiliati ed offesi: la classe socialmente più elevata, in sostanza, è quella che può permettersi di calpestare tutte le altre, cui però appartengono qualità come l’umiltà, la bontà d’animo ed in definitiva una ricchezza interiore che ai ricchi ed agli aristocratici assolutamente non competono. Al di là della grandezza del romanzo d’origine, però, rimane una pellicola di scarsa vivacità (considerando soprattutto la mole della materia narrativa), girata per lo più in lugubri interni, dalle musiche poco partecipi e che spesso indulge su primi e primissimi piani, dando alla scena un senso di angoscia ulteriore – anche quando non richiesto. Impresa non perfettamente riuscita, ma nemmeno considerabile fallita. 5,5/10.
Nella Russia di metà ottocento una ragazza di umili origini, Natasha, è innamorata del – e ricambiata dal – ricco Alioscia; il padre di lui però lo vuole sposo ad una ragazza nobile. Alioscia ha inoltre una figlia segreta, una bambina peraltro malata. Ad accogliere in casa propria la piccola ci pensa l’umile scrittore Vania, le cui velleità artistiche però non trovano il riscontro che lui vorrebbe.
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