Regia di Dante Lam vedi scheda film
Hong Kong, Il poliziotto Manfred si porta dentro un doloroso lutto che lo lacera e lo spinge alla ricerca di un’impossibile vendetta, mentre le indagini su un omicidio prendono una piega inaspettata.
Poliziotti asiatici con problemi alle prese con corruzione e malavita, il plot del film di Lam non si può dire che brilli per originalità. Anche lo sviluppo non presenta particolari sorprese, troppo derivativi i dialoghi e perfino la breve parentesi simbolista, connessa ad argomentazioni cabalistiche e astrologiche, è suggestiva ma un po’ inconcludente, anche tenendo conto dell’ancestralità di queste tradizioni e la loro importanza nella cultura asiatica (un po’ meno nella Hong Kong moderna, credo, ma questa è una mia opinione). La poetica di un Woo di inizi carriera è fuori portata, quindi, non essendo il regista avvezzo a maneggiarla. Dove Lam eccelle, invece, riuscendo comunque a dare un ottimo tocco di originalità al suo lavoro, è nelle adrenaliniche sequenze d’azione: lo dimostra con la sua mano sicura nel dirigere tutti i folli inseguimenti e le sparatorie che si susseguono (quasi) senza sosta nei tentacolari meandri di una Hong Kong mai benevola ed assomigliante ad un verticale formicaio umano. Ci si diverte non poco, quindi, nel seguire i salti, le demolizioni e gli sfondamenti del protagonista Leon Lai nel suo “tranquillo” lavoro di sbirro hongkonghese, costantemente accompagnato da presso dalla vorticosa macchina da presa. Tutti gli interpreti, infine, appaiono abbastanza in parte (soprattutto il protagonista) e riescono ad essere convincenti pur nell’eccessività della trama (e delle sottotrame) di un film piacevole ma incompiuto.
Mossa con brio.
Discreta.
Veloce.
Corroso.
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