Regia di Sergio Caballero vedi scheda film
Il pellegrinaggio di due fantasmi verso Santiago de Compostela è una silente avventura terrena, che parla l’inudibile linguaggio del vento. Lungo la via, le loro voci interiori si traducono in una poesia metafisica, però selvaggia, che procede a suon di magie e visioni, mentre si muove attraverso la sabbia, la terra, la neve e il fango, che frenano i passi e imbrattano le candide vesti. Gli esseri immateriali si preparano così a sottostare ai limiti del corpo e a sopportare il peso della materia, imparando la stanchezza, la fame, la paura, il dolore fisico: una prova preliminare alla loro reincarnazione, che, secondo la predizione di un oracolo, avverrà alla fine del tragitto, a Fisterra: la località della Spagna settentrionale in cui il cammino di San Giacomo approda alla costa atlantica, raggiungendo un ideale orlo del pianeta. Mano a mano che avanzano verso la meta, i due eterei protagonisti si disabituano a vivere di pura fantasia e di visione perfetta, sostituendo gli arredi dei loro sogni con oggetti volgari (una pietra che emette suoni, un ramo usato come un flauto, una campanella dorata utilizzata per pescare) e dedicandosi ad attività tipicamente umane (pagare una guida che indichi loro la strada, accendere un fuoco per cuocere del cibo). La realtà tangibile che, per loro, sta prendendo forma, esiste però, per il momento, soltanto nelle loro menti, che comunicano attraverso la trasmissione del pensiero, e non possono ancora fare a meno di nutrirsi di immaginazione. Tuttavia le loro ossessioni assumono, poco a poco, la consistenza della sostanza organica, di origine biologica o mitologica, popolandosi di donne, cervi, gufi, alberi parlanti, creature dell’Averno e folletti dispettosi. La favola è il canale di comunicazione tra la dimensione ultraterrena e il mondo naturale, perché si colloca in un interregno sospeso tra finitezza ed immortalità, in cui le cose non sono eternamente fisse, però cambiano in maniera prodigiosa: il principio che governa il loro divenire è quello della metamorfosi (da spettro a rana a principessa), che costituisce la perfetta ibridazione tra l’evoluzione (che modifica in maniera graduale) e la creazione (che fa sorgere all’improvviso). Quest’ultima si basa su un salto che guarda all’eternità, una discontinuità che è espressione di forza e resistenza (come quella che tiene insieme una testa di uccello ed un corpo di mammifero, dando vita ad una creatura demoniaca). La presa di distanza dal paradosso - che, attraverso la coesistenza degli opposti, è una forma diabolica di perfezione – avvicina alla condizione, tipicamente umana, in cui è necessario scegliere (se partire o restare, se diventare renna o ranocchio) oppure soggiacere alle scelte altrui (del destino che ti fa incontrare un principe, del principe che decide di baciarti). Ed è questa, la vera finis terrae, in cui la direzione da prendere è obbligata, perché da un lato si estende, sino all’orizzonte, l’impercorribile vastità del mare.
Finisterrae è l’opera prima di Sergio Caballero; suoi sono il soggetto, la sceneggiatura, la regia e la colonna sonora (per la quale si è avvalso della collaborazione di Jimi Tenor). Trionfatore dello scorso Festival di Rotterdam, il film, dopo aver fatto il giro dell’Europa, è attualmente in concorso al Festival di Melbourne.
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