Regia di Ho-Cheung Pang vedi scheda film
Lizzie Borden una scure pigliò
E quaranta colpi alla madre assestò.
Quando vide il suo misfatto
Ne diede al padre quarantaquattro.
(Filastrocca popolare)
Mai v’è stato, negli annali di tutta la storia del crimine, un atto di un singolo individuo isolato che abbia avuto un effetto tanto spaventoso sugli animi quanto la strage nel corso della quale, durante l’inverno del 1811-12, John Williams, in un’ora sola, svuotò due case e sterminò quasi interamente due famiglie. Bisognava aspettare l’anno 2007 perché una donna, nella Hong Kong della crisi finanziaria mondiale, l’apparentemente dolce e ingenua, Cheung Lai-sheung, in solo quattro ore, superasse, solo numericamente, quel terribile evento (cui si ispirò Thomas De Quincey per scrivere Murder Considered as One of the Fine Arts), introducendosi in uno stabile e sterminando una buona dozzina di persone, asserendo così la propria supremazia su tutti i figli di Caino.
Pang Ho-cheung, regista trentasettenne, colpito da questa storia vera, non si unisce al panico generale: questi orribili omicidi lo colpiscono solo in quanto filosofo dello splatter-movie e lo gettano in profonde riflessioni a proposito del tremendo potere che si schiude in un istante a chi nelle immagini della morte violenta trova profonda ispirazione per trarne un film di incantevole, oltre che poetica descrizione dell’assassinio cruento come una delle belle arti.
Lo sfondo ambientale degli assassinî.
Lo stabile è ubicato in una pubblica via situata in un quartiere alquanto caotico della Hong Kong orientale o portuale (prego i lettori di tenere a mente la natura portuale del luogo perché ad esso è imputabile lo scatenamento della furia omicida di Cheung Lai-sheung), un panorama orizzontale di case, simile a un chilometrico alveare, assai brutto a vedersi, che si eleva a babeliche ascensioni verso un cielo piombo-scuro che sembra disegnato da un creatore ubriaco; appartamentini costruiti ad uso di giovani single con pochi soldi che non possono permettersi abitazioni più ampie, visti i prezzi elevatissimi del settore immobiliare. In realtà, il quartiere è opera di valentuomini della malavita in connubio con politici che hanno edificato l’obbrobrio, in spregio alle leggi.
Pang Ho Cheung illustra il luogo magistralmente, deve aver visto Le mani sulla città di Rosi, ma a lui non interessa tanto l’habitat quanto l’habeas corpus. Il suo estro visionario si illumina di tableaux mourants di tanta grandguignolesca potenza da fare impallidire qualsiasi horror visto finora.
Va detto, altresì, che il regista offre un contributo sociologico di efficace risvolto alla natura criminis: la crisi americana dei mutui, scatenatasi in quell’anno, estesasi globalmente su entrambi i lati dell'Atlantico ha portato un crash globale del mercato azionario. Negli Stati Uniti, molti debitori non riescono a pagare i loro mutui. Le maggiori compagnie, come la UBS, la Morgan Stanley e la Lehman Brothers registrano enormi perdite. La crisi dei mutui genera una crisi nei crediti, portando alla recessione negli affari e nel mercato immobiliare non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Le opportunità d'investimento nel 2008 sembrano davvero misere. In queste circostanze, il mercato è in crisi, ma il peggio deve ancora venire.
Da un sondaggio del 2007 si rileva che il guadagno medio mensile della gente di Hong Kong si è notevolmente abbassato, un 24% di persone non arriva a fine mese. Nel 2007, un appartamento di 55 m.q. a Hong Kong, costa più di 7 milioni di dollari; gli appartamenti con vista sul porto possono raggiungere i 30.000 dollari, 3.200 dollari per metro quadro.
In una città folle, se si vuole sopravvivere si deve diventare ancor più folli.
Cheung Lai-sheung vuole una casa che guardi il porto, è un desiderio che si porta dentro fin dall’infanzia vissuta in una tetra casa dei sobborghi. I ricordi della fanciullezza (la madre malinconica, il padre affetto da mesotelioma, il fratellino con cui giocava nella strada) si mescolano alla sua vita attuale di impiegata in una società immobiliare.
Il film procede su queste due polarità: affettività/anaffettività.
Cheung Lai-sheung non è ha una personalità scissa, ogni suo atto tende al fine di acquistare un appartamento lussuoso al porto, a costo di svuotare l’abitato da tutti i proprietari in modo che possa scegliere con calma la casa che più le aggrada.
Madre Coraggio al rovescio, Cheung Lai-sheung ha progettato un piano truculento: uccidere i futuri vicini di casa.
La strage comincia alle 23.05 del 30 ottobre 2007.
Il viatico nella borsa di Cheung Lai-sheung: un martello da carpentiere, un lungo laccio sottile in fibra di plastica del tipo accalappiacani, un coltello lungo 50 cm circa. Altri oggetti acuminati, contundenti, eventuali armi da fuoco, reperibili in loco.
Il portiere dello stabile è sul punto di cadere dal sonno quando il laccio gli stringe la gola. Per reciderlo, l’uomo usa un taglierino ma le contorsioni del suo corpo scalciante indirizzano al taglio della giugulare.
Sangue per terra, ghirigori rossi sul muro, piedi in scarpe di danzatore di tip tap orizzontale, spasmi violenti per intervenuta epilessia finale.
Cheung Lai-sheung molla il cappio, un cane in meno nell’abitato.
Il flusso dei ricordi, attraverso il sangue del morto, richiama la morte della madre, la vita negata nel ghetto della periferia, i barattoli che lei bambina ci giocava con il fratellino a fare la telefonia, una cordicella tesa tra i forami di latta.
Sequenza di durata temporale che ricorda lo strangolamento hitchcockiano della vecchia bacucca in Frenzy: il Maestro dice a Truffaut che morire non è rapido e facile, morire è lungo e difficile, ci vuole tempo e fatica delle mani dello strangolatore.
Ore 23.18. Tocca a una donna incinta e alla cameriera. Di quest’ultima si libera con un colpo preciso di maglio. La padrona di casa è ora sola in casa, ciabatta con il bimbo in grembo in attesa dell’arrivo del consorte, si carezza il nascituro sul gonfiore sotto la sottana beige.
La morte arriva alle sue spalle, riflessa nello specchio del bagno: Cheung Lai-sheung vibra un potente calcio che fa cadere distesa per terra la donna, il liquido amniotico si allarga sul pavimento – il nascituro muore prima della madre.
La donna tenta la lotta, ma la Furia che ha in mente l’affaccio al porto deve ultimare il lavoro. Alla bisogna soccorre un telo di plastica per abiti di lavanderia che disegna sul volto della vittima le pieghe della Pudicizia Velata nella cappella di Raimondo di Sangro. Lungo sbuffare di mantici prima che la vita abbandoni il corpo della sciagurata, seguendo l’asfissia del bimbo morto.
Ancora un flashback: il padre di Cheung Lai-sheung in piena crisi polmonare: l’uomo scatarra e rantola, con gli occhi impietriti dalla paura domanda che la figlia gli passi la mascherina dell’ossigeno. La donna guarda il padre, esita, nero dello schermo. Il padre lasciato morire è garanzia di denaro ereditato, la miserabile somma delle assicurazioni per i malati da amianto va ad aggiungersi al gruzzolo faticosamente messo insieme per l’acquisto della casa del sogno.
Ore 23.26. Cheung Lai-sheung è ancora in casa della morta quando arriva il marito. L’uomo guarda il corpo riverso della moglie, dal ventre emerge qualcosa di orribile a vedersi. Piange l’uomo la sua donna e il dono che portava in grembo.
L’assalto arriva con un colpo micidiale al cranio del consorte in lacrime, lo sfiora l’Erinni in posa davanti a lui, si avvinghiano, rotolano per terra. L’uomo afferra Cheung Lai-sheung per la gola, stringe con ferocia, la faccia gli diventa paonazza per lo sforzo, paonazzo è anche il volto dell’assassina. Un ferro da stiro provvidenziale è a portata della mano di lei, sembra il Cadeau di Man Ray, - oggetto d’arte per stirare il mondo -, adesso è strumento di liberazione e si dirige sul viso dell’uomo facendone volare una metà sanguinolenta verso la parete sul fondo. Il martello della strega colpisce senza tregua.
I corpi degli uomini sono stracci di burattini nel cinema estremo di Pang Ho-cheung, tanto estremo che il ricorso ai dipinti della Quinta del sordo di Goya o al carnevale di Bachtin funzionano come esorcismo per chi abbia il coraggio di pensare quanto grottesca sia questa blasfema via crucis di violenza.
Distrarsi, pensare a un’installazione di arte oltraggiosa, dirsi che la realtà supera l’efferatezza della visione filmica, non aiutano lo spettatore, al contrario lo rafforzano nell’insicurezza delle cronache.
Il festival del gore continua con una scena centrale di insopportabile ferinità. Viene da chiedersi se l’assunto sociologico non sia che un espediente per tenere insieme la mostra delle atrocità. Ma Pang Ho-cheung è troppo smaliziato per elaborare un horror slasher anteponendo premesse moralistiche: l’orgia di sangue non è che la premessa alla realizzazione di un sogno. Dall’incubo, Cheung Lai-sheung trae la forza persuasiva che la sua felicità esige il sacrificio umano e che la dolcezza (home sweet home) si conquista con l’ebbrezza.
Ore 23.30-00.07. L’orgia di sangue si mescola all’orgia di sesso: due ragazze e due ragazzi si preparano a un partouze di sesso e droga, quattro svitati in pieno sballo. Bussano alla porta dell’appartamento, entra un terzo ragazzo, uno che col sesso spinto figura meglio degli altri, si esibisce in pose oscene, è il padrone della scena.
Dopo un paio di minuti è accasciato contro il muro, si guarda i visceri posate sul grembo come un fiore di cancro. Cheung Lai-sheung è entrata con la velocità del vento gelido che sbatte le porte della morte e gli ha conficcato il coltello nell’addome. Il ragazzo è ancora vivo, sembra seguire con interesse cosa sta per capitare ai suoi amici. Non emette un gemito, mentre si guarda le entragne fuori della sacca naturale.
Una ragazza sta vomitando nel water, in bagno: non si accorge di nulla, qualcuno la tiene stretta per i capelli, mentre la sua testa è costretta da una forza immane a fare avanti e indietro sul bordo del water.
Il ragazzo che si precipita in bagno con una bottiglia di whisky tra le mani, non è in grado di opporsi alla determinazione con cui Cheung Lai-sheung gliela strappa di mano, conficcandola prima in un occhio e poi nella giugulare.
Resta la coppia chiusa in camera: fanno l’amore. L’uomo di spalle all’ospite inattesa è dentro l’amante. La mdp è dietro la ragazza in orgasmo. Cheung Lai-sheung affonda il coltello una dozzina di volta nella schiena dell’uomo, schizzi di sangue esplodono sull’addome della ragazza che geme: “Ne avevi in abbondanza!”, prima di accorgersi che si tratta di altro.
La ragazza nuda si divincola dalla morsa di mani che la tirano per i piedi, si nasconde sotto il letto. Sul letto, attraverso le doghe, Cheung Lai-sheung lavora di coltello, la ragazza schiva i colpi con rapidi spostamenti del magro corpo. L’assassina perde la calma dell’esecuzione perfetta, divella una doga e la conficca nella bocca della ragazza premendo con forza fino a divaricarne le labbra con quell’orpello che pare un omaggio ai piattelli degli aborigeni.
Bussano alla porta: due poliziotti. Al primo vola via la guancia. L’altro finisce con un colpo di pistola (quella del suo collega).
Il dolly (utilizzato con grande sfoggio) riprende la scena all’alto: la mascherata è finita.
Cheung Lai-sheung, affacciata al balcone che dà sul porto, chiede al fratello: “Ti piace?”
Presentato al Tribeca Festival e al Far East Film del 2010, Dream Home ha ricevuto ampi consensi di critica.
Una nota di merito va allo score, firmato dal compositore italiano Gabriele Roberto che aveva già collaborato con Pang nel thriller Exodus del 2007. Roberto da molti anni vive a Tokyo e ha curato le musiche di numerosi progetti cinematografici.
“Nato nel 1972 ad Alba, Gabriele Roberto si diploma in composizione ai conservatori di Cuneo… Poi ottiene un master a Londra presso il Royal College of Music, dove conosce Gabriel Yared (Oscar per Il paziente inglese) che lo apprezza e lo sostiene…
Tornato in Italia dopo due anni e mezzo di tentativi a vuoto riceve un’offerta dal Giappone. Prima un film, poi un altro e ora l’equivalente nipponico dell’Oscar e la scrittura per anime, pubblicità e arrangiamenti. I giapponesi riconoscono il suo talento e lo invitano a Tokyo … [per la colonna sonora del film Exodus di Pang Ho Cheung]… a Berlino vince l’Orso d’argento… [alla domanda se ha nostalgia dell’Italia, Roberto ha risposto: “Certo, ogni tanto la confusione italiana mi manca… Mi piacerebbe lavorare lì e qui. Chissà, forse quando vincerò l’Oscar americano si accorgeranno di me… Perché, alla fine, a rimetterci è l’Italia, che si lascia sfuggire le persone creative per la sua incapacità di riconoscerne il talento.” [da un’intervista di Justine Bellavita. http://www.gabrieleroberto.com/eng/press/gq_aprile_07.htm]
Straordinaria prova di Josie Ho (aka Josephine HO Chiu-Yi) nella parte di Cheung Lai-sheung, paragonabile (a giudicare dai Filming su you tube) a quella di Shelley Duvall in Shining o di Anthony Perkins in Psyco (non mancano in Dream Home sommessi segni di affettività nei confronti di questi film).
Josie Ho (che ricordiamo in film come Exiled di Johnny To, in Dead or Alive 2 di Takashi Miike, ma anche nel modesto Street Fighter di Andrzej Bartowiak) ha partecipato con la sua società “852 Film” alla produzione del film.
Anthony Wong appare tra gli interpeti del film erroneamente e in una parte di rilievo. Da una mia verifica, Anthony Wong non è tra gli interpreti del film. Non appare nei crediti, ma erroneamente (non so spiegarmi il perché) viene citato tra gli interpreti da IMDb, wikipedia, e da quasi tutti i siti di cinema che probabilmente hanno come punto di riferimento IMDb, tranne che dai crediti del sito Tribeca Film Festival. La prova dell'assenza di Anhony Wong è oltre che nei crediti del film, anche sui video you tube che mostrano il making del film o le interviste agli interpreti (vedi: il video: http://www.youtube.com/watch?v=4_TijtypCxQ&feature=related") nel quale non c'è traccia di Anthony Wong. Meraviglia anche annotare errori anche in wikipedia dove alla voce "Josie Ho" è scritto "Josie ha recitato nell'horror di Oxide Pang Dream Home, insieme ad Anthony Wong Chau-sang', anzi doppio errore: "Dream Home non è diretto da Oxide Pang e Anthony Wong non c'entra nulla. Chissà per quale magia, alla già straripante carriere dell'Humphrey Bogart asiatico (175 film in 25 anni) hanno voluto aggiungere un film in cui il divo non c'è.
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