Regia di Tetsuya Nakashima vedi scheda film
Un tempo al cinema la gioventù era “bruciata” e la ribellione si manifestava con gesti spesso autolesionistici, i tormenti di un giovane James Dean erano drammi psicologici che non trovavano soluzione in una società troppo arretrata, che non accettava un cambiamento radicale quanto inevitabile.
Oggi il contesto sociale è cambiato sul serio e le disfunzioni delle giovani generazioni sono diventate molto più complesse ed indecifrabili, labirinti mentali spesso inviolabili, tunnel senza fine dominati da insoddisfazione, sofferenza, disagio, noia e follia omicida.
Tetsuya Nakashima gira un film che inquieta perché la finzione che racconta (tratta dal romanzo omonimo di Kanae Minato) è tremendamente vicina alla realtà del nostro quotidiano, una realtà che sembra comune in ogni parte del mondo e che passa dalle stragi americane (Columbine tra le tante) a quelle in Finlandia piuttosto che in Germania.
E il Giappone, che per certi versi sembra cosi distante da noi, non fa certo eccezione.
Confessions si apre con una lunghissima sequenza che stordisce e annichilisce, la giovane insegnante Moriguchi parla ai suoi scalmanati studenti impegnati a bere del latte per una campagna di sensibilizzazione, i ragazzi fanno di tutto (ascoltano musica, si mandano messaggini, si bullano dei più deboli) tranne che ascoltare la giovane donna, che però come un automa continua a parlare.
La sua è appunto una confessione, la prima di una lunga serie che andranno a comporre le fondamenta del film, la donna racconta di come sua figlia Manami di sei anni sia stata trovata morta nella piscina della scuola e di come il caso fu archiviato come incidente, in realtà non è stato un incidente ma un omicidio, commesso proprio da due studenti della sua classe.
A queste parole, all’unisono, la classe si blocca, volano messaggi da un cellulare all’altro, chi dà della pazza all’insegnante, chi pensa di conoscere i nomi degli assassini, ma i nomi li ha scoperti anche Moriguchi che inizialmente li identifica come studenti A e B, ma poi con un colpo di teatro li svela a tutti, non prima di rivelare loro che nei cartoni di latte che hanno bevuto ha inserito del sangue infetto, il sangue di suo marito morto di AIDS.
I due studenti colpevoli vanno nel panico e scappano via, cosi si chiude la sequenza iniziale del film, un lungo incipit che racchiude l’essenza dell’intera opera, che sarà appunto una storia di confessioni ma anche di vendetta feroce, spietata e chirurgica nella messa in atto, un vicenda dove dal dramma si passa alla follia più pura e dove l’orrore fa capolino in spruzzate colorate di rosso, mentre in sottofondo i Radiohead cantano Last Flowers.
Inutile negare che il tema affrontato sia tra i più controversi e difficili da gestire, Nakashima sceglie una strada non facile scavando nelle contorte menti dei suoi protagonisti attraverso una narrazione non lineare, spesso e volentieri ridondante per l’uso eccessivo di flashback e ralenti, la regia risulta a volte compiaciuta ed eccessiva e il film si presenta molto denso, troppo carico di un insieme di componenti non sempre ben amalgamate.
Nonostante questo limite non si può negare una indiscussa eleganza formale nella rappresentazione, e un gusto estetico non comune, che a volte nelle fasi più estreme vira con troppa decisione nei territori del videoclip (la musica è un sottofondo costante) penalizzando una pellicola che altrimenti poteva essere di certo più equilibrata e quindi più efficace.
Confessions resta comunque un film tremendamente disturbante, per il ritratto ferocemente nichilista delle giovani generazioni nipponiche, per lo studio di alcuni personaggi assolutamente riuscito, per la bellezza di alcune sequenze (quella finale con l’orologio che va indietro resta nella mente), un film non facile da vedere, sia per il tema trattato, sia per come viene presentato, di certo non un film per tutti ma un opera che comunque lascia un segno.
Voto: 7.5
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