Regia di Tetsuya Nakashima vedi scheda film
“I deboli feriranno sempre i più deboli di loro”
Cartoline dall'inferno della adolescenza devastata e devastante, tra atti di prevaricazione, spunti geniali che si fanno strada a fatica e comportamenti totalmente alieni al mondo degli adulti.
Confessions è un pugno nello stomaco dello spettatore, un ritratto senza sconti di un mondo che sembrerebbe lontano (la scuola giapponese con le sue rigidità, organizzata per introdurre gli alunni a una società basata sulla competizione e impietosa verso chi non sa trovare un proprio ruolo in essa) e invece assolutamente vicino a noi.
Siamo in Giappone ma potremmo essere in una qualunque scuola del “nostro” occidente. La Signora Moriguchi, giovane insegnante in una classe di tredicenni scalmanati, annuncia agli alunni il suo addio; le scene di tripudio vengono presto smorzate dalla “confessione” della stessa sui motivi reali della scelta: la morte dell'amata figlioletta Manami non è dovuta ad un incidente, come era parso a tutti, ma è un omicidio i cui responsabili sono due due ragazzi che frequentano proprio quella classe.
Nessun giallo però, perché i due colpevoli sia pur non nominati, vengono descritti con una tale accuratezza di dettagli che gli altri allievi li individuano senza alcuna fatica.
La Signora Moriguchi saluta tutti, raccontando la sua disperazione con la pacatezza con cui avrebbe potrebbe tenere una lezione, e riservandosi però di mettere il veleno nella coda.
Rivela infatti di aver inoculato nel latte, che i due piccoli assassini hanno appena bevuto, il sangue infetto del proprio compagno, padre di Manami e morto per AIDS.
La confessione di Yuko Moriguchi è l'atto iniziale di una storia che si dipana sotto gli occhi dello spettatore come un viaggio negli inferi personali di coloro che sono coinvolti nella vicenda.
Il regista Tetsuya Nakashima rivela grande abilità nel modo in cui sviluppa la narrazione, soprattutto adottando alcune scelte stilistiche che risultano assolutamente efficaci ai fini dell'impatto sullo spettatore.
Così l'uso dei toni cupi e di immagini quasi rarefatte, rendono l'idea di un mondo sospeso tra fantastico e realtà, delineando figure in bilico tra rappresentazione reale e tratti di grafica che richiamano i manga.
Toni cupi e nebulosi per raccontare un paesaggio pervaso da un senso di tragicità, in cui gli allievi si muovono ostentando una totale indifferenza, una maschera di apparente faciloneria e cinismo dalle cui crepe traspaiono invece storie personali di abbandoni, fallimenti, oppressioni familiari e ricerca di amore.
Forse un modo di rappresentare il reale così come lo percepiscono questi ragazzi in bilico tra le aspettative di una società che vuole farne membri futuri ed efficienti di un sistema produttivo e le problematiche personali proprie di una fase delicata della vita qual'è l'adolescenza.
Una realtà deformata come le immagini riflesse dagli specchi convessi posti sulle strade, le persone riflesse non sono più elementi del mondo reale ma figure che paiono provenire da un'altra dimensione.
E tra una scena e l'altra splendide immagini di un cielo solcato di nuvole, immagini colorate che sovrastano un mondo invece ritratto in toni cupi, forse (azzardiamo) il simbolo di una natura assolutamente indifferente a tanta umana devastazione, o forse il richiamo a paesaggi di luce in contrapposizione a un mondo reso grigio dalle contorsioni della mente umana.
Confessions è, nelle sue linee essenziali, la storia di una vendetta, elaborata secondo i meccanismi di un'anima complessa e per nulla banale come quella che si rivelerà essere Yuko Moriguchi.
Inevitabile un parallelo con il giustamente acclamato Old Boy di Park Chan-wook, eppure sarebbe ingiusto porre a confronto le due pellicole. Confessions si muove in binari diversi, anche se, come il film coreano, rivela un meccanismo perfetto e spietato che porta alla più bruciante delle vendette.
E il film stesso si rivela essere un meccanismo perfettamente regolato, non c'è passaggio che lasci la sensazione di non essere stato sufficientemente pesato e ponderato dal regista, e tutto accompagnato da una colonna sonora scelta con grande perizia, in una mescolanza di brani di varia estrazione in cui spicca una canzone dei Radiohead, Last Flowers.
Ottimo lavoro del cast, in cui spiccano i giovani Yukito Niishi, Karou Fujiwara e Hai Hashimoto nei rispettivamente dei due piccoli assassini (che pagheranno duramente il loro crimine) e di una compagna di classe che si innamorerà del primo con tragiche conseguenze.
Ma la nota di merito finale va data alla bella Takako Matsu, attrice e cantante piuttosto celebre in Giappone, perfettamente calata nei gelidi e spietati panni di Yuko Moriguchi
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