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Confessions

Regia di Tetsuya Nakashima vedi scheda film

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La recensione su Confessions

di FilmTv Rivista
8 stelle

Adolescenti in divisa bevono latte dalla cannuccia, i cartoni rossi rimbalzano in ralenti sui maglioncini neri simulando un’ipnotica coreografia pubblicitaria. Siamo in una scuola media giapponese, gli alunni zampettano con le dita sul cellulare rimpinguando i loro testi di faccine, mentre l’insegnante Moriguchi alla lavagna scrive semplicemente «vita». Questa gioventù scomposta e distratta, raccolta in un quadro di algida e negligente bellezza, dovrebbe esserne il correlativo visivo. Eppure il gesso stride atrocemente sull’ardesia, richiamando gli occhi dei ragazzi sul significante e destando nello spettatore l’interrogativo sul significato disatteso. Segue una confessione, pacata e tremenda, percorsa dalla tensione elettrica della lentezza che scopre prima la colpa quindi l’assassino. La signora Moriguchi, dalla cattedra, rivela che la figlioletta di 4 anni è stata uccisa. Annegata nella piscina scolastica, la piccola Manami non è scivolata. Stordita con una scossa, quindi gettata in acqua: due allievi della sua classe, complici di un delitto orrendo quanto insensato, ora saranno le vittime della sua vendetta. Un piano crudele e rigoroso come il film di Nakashima, che procede per confessioni - dopo la professoressa, tocca agli altri protagonisti - e studia i suoi personaggi come cavie in una gabbia. Sottoposti a puntuali iniezioni di agghiacciante cattiveria, vengono allontanati da ogni tentazione empatica attraverso una slow motion straniante e accattivante. Come un gioco al massacro perpetrato da bambini meccanici, che si affermano anarchicamente liberi ma sono mossi dagli istinti più banalmente umani: il desiderio di rivalsa, il bisogno di accettazione, l’urgenza di un affetto negato. Non c’è redenzione, in Confessions, né pietà per una gioventù autocombusta eppure congelata, lucidamente folle, beffardamente danzante sotto time lapse di nuvole plumbee, inquadrata in specchi convessi che ne accentuano la distanza siderale col mondo. Il mondo stesso come lo conosciamo (come vorremmo conoscerlo) esplode in un finale che incenerisce quanto resta di più caro senza liberarci dal male insito in ogni animo. Nakashima applica il suo talento visionario, orgogliosamente pop, a una storia tragicamente circolare di ordinaria crudeltà, cullata dalla partitura magnetica dei Radiohead. Scava nelle ferite personali come nelle voragini sociali, mettendo in forma (troppo?) bella l’impossibilità della purezza.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 20 del 2013

Autore: Chiara Bruno

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