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Confessions

Regia di Tetsuya Nakashima vedi scheda film

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La recensione su Confessions

di ROTOTOM
8 stelle

Le confessioni di menti pericolose.  La professoressa di una scuola media giapponese, Yuko Moriguchi, ha avuto il trauma della tragica perdita della figlia annegata nella piscina della scuola stessa.  Scopre che sono stati due suoi studenti ad assassinare la bambina, Yoshiteru piccolo genio della meccanica, freddo, crudele e manipolatore e Naoki sciocco complessato, manipolato dall’amico-complice. L’insegnante decide di attuare nei loro confronti una spietata vendetta.



Grande cinema quello di Tetsuya Nakashima, lucido e politicamente molto scorretto, capace di astrarre la deriva della società giapponese ricreandola nel diorama di un’aula scolastica. In una fotografia incenerita e virata su un monocromatismo cupo ed evocativo della condizione esistenziale della gioventù nipponica, va in scena il massacro di ogni convenzione sociale ormai sradicata da qualsiasi orpello morale.
Trenta minuti iniziali che sono un capolavoro di crudeltà psicologica, durante la quale va  in scena il fallimento dei valori degli adulti. 

Durante una normale lezione di scuola  i meccanismi della relazione studente – svogliato, poco interessato, distratto – e insegnante – colui al quale è delegato il compito di formare i ragazzi alla vita – assumono toni dello scontro generazionale e della catarsi vendicativa a tinte noir. Un noir nel quale il ribaltamento della convenzionale progressione delitto – indagine – movente - risoluzione è la chiave per affondare le mani nella psicologia della vendetta. Lento e suadente, come una danza di morte, rettile nell’avvolgere tra le spire di un disegno tanto complicato quanto intellettualmente elevato, il piano di Moriguchi si pone come contraltare erudito e colto ad una società debosciata e profondamente  ignorante.



Visto che la società  e i suoi delegati – l’insegnante - non sono (più) in grado di trasmettere i valori che dovrebbero costruire esseri umani consapevoli  è proprio  l’uso catartico del  disprezzo della vita umana, l’isolamento  e il desiderio di veder riconosciuta la propria individualità, unici sentimenti che permeano la vita degli alunni,  che permette alla glaciale insegnante di punire il gruppo di ragazzi  massificati in un unico modello estetico  e psicologico. 

Quella disegnata da Nakashima è una società allo sbando, votata all’autodistruzione, priva di empatia per il prossimo, e nella quale l’atto di morte è il più alto esempio di  esaltazione della personalità. 
Qualcosa che rimanda a Suicide Club di Sion Sono e i suoi incubi metropolitani, estremi, politici e profetici. 

Uccidere o essere uccisi è qualcosa che in Confessions non ha alcuna valenza criminale ma disperatamente esistenziale. Il rapporto insegnante/alunni si replica nella totale distanza tra madre/figlio: la frattura insanabile di due generazioni divise da una diversa concezione dell’esistenza.  L’estetica assume talvolta i toni dell’horror orientale classico nel quale si ritrova l’iconografia del fantasma, qui virato al maschile, ed è una novità, e della casa infestata da un’entità in cerca a sua volta di vendetta,  altre volte si ispira al più sofisticato noir metropolitano.  

Un teatro degli orrori di un paese dei dannati nel quale la crudeltà filtra senza ostacoli da un quadro di spietata eleganza formale. L’uso del ralenti dona un ‘atmosfera ovattata e  ipnotica come di un’infinita apnea emotiva che si accorda in pieno alla psicologia dei ragazzi protagonisti del film.

Ciò che rende imperdibile Confessions, tratto dal romanzo omonimo di Kanae Minato, nativa di Hiroshima, è la quantità di temi che coabitano nella stessa vicenda in un equilibrio che ha del miracoloso. Una commistione di generi – horror, sentimentale, commedia, denuncia sociale, noir- che riconduce ad un unico grande punto d’incontro. Il genere scolastico in Giappone è un caposaldo della cinematografia, così come la vendetta nel cinema orientale è un tema narrativo sfruttato nei modi più disparati. La vendetta, ferocissima, dell’insegnante Moriguchi nei confronti dei due ragazzi ha nella cadenza e nei toni la stessa lunghezza d’onda della prima mezz’ora iniziale durante la quale l’insegnante tiene la lezione confessando il proprio intento vendicativo. Tutto il film poi si struttura  come una lunga lezione di vita che passa attraverso l’annichilimento, la morte, la disgregazione di ogni certezza che abita le piccole menti dei ragazzi.

 

Il tentativo – riuscito – di Moriguchi  è di punirli facendo rifiorire in loro quel rimorso per il fatto compiuto che dovrebbe essere insito nell’essere umano. La sottigliezza intellettuale è infatti quella non della punizione fisica quanto psicologica ed emotiva. Diventare esseri umani e quindi vivere per sempre nel rimorso. Cosa che riesce a Naoki che si trasforma nel più classico  dei fantasmi, mosso dal rancore – condizione classica della presenza del fantasma nella cultura giapponese – anch’esso in cerca di vendetta ma rivolta contro se stesso e contro la madre. Ancora, il rapporto con la madre alla base delle azioni dell’ideatore del piano omicida, è mostrato prima per provocare indulgenza per poi inabissarsi di nuovo nella punizione.
La responsabilità personale rappresenta la centralità del discorso di Nakashima, attorno alla quale si allargano concentriche le conseguenze delle azioni che non hanno più possibilità di essere fermate. Capacità di discernimento  direttamente collegata alla statura morale ed etica dell’essere umano inserito in una società ormai completamente rimossa in favore di una più comoda apatia.

 Lacerante assolo di crudeltà, Confessions  delega alle parole una messa in scena astratta e frammentata, senza farsi mai didascalico ricompone un quadro di desolante disperazione. 

E’ un esorcismo questo film, un rito durante il quale le parole bruciano su immagini di tombale compostezza . L’assurda banalità del male è imbrigliata in una forma rigorosa, asciutta e schematica dalla quale non può sfuggire. E’ tutto sotto i nostri occhi. E in fondo, confessiamo, ne siamo un po’ tutti colpevoli. 

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