Regia di Tetsuya Nakashima vedi scheda film
Film che dal punto di vista della sostanza aggiunge poco a corposi materiali messi bene in luce da registi giapponesi contemporanei, uno su tutti, Sono Sion, ma se la disgregazione della società, dei valori e delle relazioni seppure rappresenti a livello mondiale un filo comune su cui riflettere, la realtà giapponese che viene raffigurata ha evidentemente bisogno di subire forti scossoni interni. L’insistita rivisitazione di schemi e di scenari ricorrenti ne sono la denuncia più allarmante, di cui il cinema locale vuole farsi libero portavoce. Tetsuya Nakashima accantona definitivamente il finto manierismo provocatorio di Kamikaze girls per posare lo sguardo in un senso più collettivo sulle nuove generazioni, sul futuro, e la risposta al susseguirsi delle confessioni che scandiscono il ritmo del racconto non sarà che velata di un cupo pessimismo. Una insegnante di scuola media annuncia alla sua classe l’abbandono dell’insegnamento, ma rievoca anche la morte tragica della piccola figlia di cui lei conosce l’identità dei responsabili che anche se riconosciuti tali dalla legge non sarebbero punibili. Sono due dei suoi studenti, la donna si dedicherà ad attuare il suo disegno vendicativo. Il regista che predilige l’uso di tecniche moderne e contaminate, mutuate direttamente dai videoclip musicali, costruisce un lungo e delirante manifesto di immagini forti nelle quali però né la fisicità né la spiritualità dei personaggi riescono ad entrare. Non che Confessions sarebbe ugualmente valido se fosse muto o accompagnato solo dalla bellissima colonna sonora, ma il testo didascalico e freddo non scopre le implicazioni e le diramazioni che il percorso della vendetta può offrire. Naturalmente è il frutto preciso della scelta del regista che mantiene in scena la presenza dell’ex insegnante nel ruolo di testimone, di voce narrante in grado di decifrare il mondo, sconosciuto ai più e in particolare alle loro famiglie, degli studenti. Nakashima si dedica con maggiore cura alle immagini, ne fa un richiamo specifico per il pubblico più giovane, secondo me è a loro che il film si rivolge direttamente, con spietatezza e senza giustificazioni. Il mondo adulto incarnato dalla professoressa è un emisfero svuotato da ogni messaggio educativo e culturale, privo di qualsiasi autorevolezza e di attrazione, la vendetta stessa sembra più l’uniformarsi ad una tradizione formale che non viene messa in discussione nei suoi valori. Adulti incapaci di comunicare e ragazzi prematuramente alienati dal vuoto interiore che riempiono con rituali di aggregazione e di riconoscimento che stanno fra il tribale e la demenzialità. “ Che ignoranti siete” pronuncia disgustata la prof, arresa di fronte ai nuovi barbari…Con un ottimo lavoro di post produzione e di montaggio, sequenze rallentate, flashback e salti narrativi ripetuti da diverse angolazioni, lo spettatore viene sensorialmente travolto dal fascino delle immagini, ma come detto resta gelidamente distante dalla vicenda, il risentimento scontato verso gli assassini è pari all’assenza totale di empatia con l’insegnante, tutti risultano sullo stesso piano, avvolti da un indefinibile senso di catastrofe imminente e di ricerca di contenimento, sia del dolore che della violenza. Buon prodotto, godibile (se così si può dire..) ma ad oriente si è visto anche di meglio, un tributo obbligatorio va non tanto alla lunga e drammatica sequenza iniziale, ma la scena del prefinale con l’orologio che va all’indietro con annessa resa dei conti, è uno dei più efficaci spot per gustarsi il cinema sul grande schermo. Estetica pura, ma una vera delizia per gli occhi.
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