Regia di Stanley Donen vedi scheda film
Un'interessante rilettura del Faust in chiave anni 60', dove Stanley Donen ambienta la vicenda a Londra sottolineando ed evidenziando i vizi imperanti nella capitale inglese di quel periodo. La prima cosa che salta all'occhio sono sicuramente gli attori scelti dal regista, tutti inglesi e quindi ben lontani dai soliti visi e dalle fattezze fisiche fatte con lo stampino propinataci da Hollywood.
Il protagonista Stanley Moon (Dudley Moore), è addetto alla giglia di una paninoteca che si è perdutamente innamorato di Margaret (Eleanor Brow), una cameriera del locale. Non ruscendosi a dichiarare e oramai scofortato dalla sua mediocre esistenza, dopo un tentativo di suicidio fallito, il diavolo (Peter Cook) gli propone un patto; la sua anima in cambio di 7 desideri che esaurirà. Il ragazzo accetta sperando così di far sua Margaret, senza sapere che il diavolo gli metterà i bastoni tra le ruote.
Come dicevo gli attori sono l'elemento che si nota immediatamente di quest'opera; Dudley Moore è un essere insignificante e mediocre, dalla corporatura sgradevole e di scarsa altezza (non arrivava al metro e 60); in sostanza, un tipo ideale che può essere vittima dei raggiri e delle promesse del diavolo che puntando sulle sue mancanze gli propone questo patto. Moore in effetti non è per niente attraente e a dirla tutta, non è certo il tipo di cui vorremmo essere amici, poichè ha l'aria del perfetto sfigato insignificante; e proprio per questo è l'attore protagonsita adatto poichè è tutto l'opposto dei bambocci perfetti e scolpiti imperanti ad Hollywood.
Stesso discorso per la protagonista femminile Eleanor Brow, alla seconda collaborazione con il regista dopo Due per la Strada (1967); con la quale ci si ritrova innanzi ad una bellezza particolare; l'attrice come subito si nota è molto alta (fà un certo effetto vederla accanto a Moore... ed il regista non fà nulla per nascondere la notevole differenza d'altezza tra i due), senza contare i suoi lineamenti del viso molto decisi, marcati e fortemente aggressivi sia negli occhi che nelle labbra (con un trucco pesante abbondante quando lavora nella tavola calda); in sostanza è un tipo di bellezza che divide molto e al quale in tutta sincerità non affideresti mai la parte di protagonista, Donen escluso ovviamente. E per finire Peter Cook (sceneggiatore del film), vestito in modo kitsch ed anche abbastanza ridicolo con la sua mantellina che più che ad un diavolo, lo avvicina a figure fumettistiche come Mandrake.
In effetti il diavolo secondo la concezione Doneniana, è una sorta di piazzista che tenta di arrabbattare alla men peggio qualche anima per raggiungere il suo scopo finale. Una figura lontana dalle rappresentazioni teleologiche, ma più vicina a quella di un truffatore che nell'odierna società capitalista, si dimostra più furbo e scaltro delle proprie vittime. Il diavolo è un'affarista che pur di accumulare sempre più capitale, grazie alla maggior conoscenza informativa imbroglia le sue vittime regalandole mere illusioni degne della peggior pubblicità ingannevole per poi lasciarle con un nulla di fatto. Stanley Moon in effetti fà di tutto per esprimere un desiderio dove possa finalmente stare con la sua Margaret, senza che il diavolo trovi il cavillo per fregarlo come puntualmente accade ogni volta. Tra un desiderio espresso dove si vuol parlare bene per far colpo sulla donna, un altro dove si sogna di avere una montagna di risorse economiche per far felice la cameriera o infine essere una superstar, il protagonista traccia una sorta di ritratto dei desideri e dei vizi imperanti nella capitale inglese degli anni 60', puntualmente destinati a naufragare poichè miranti solo al mero edonismo personale, senza tenere mai conto della volontà della controparte, che sembra dover essere soggiogata ai meri desideri dell'uomo senza che possa esprimere volontà propria (come puntualmente invece Margaret dimostra di avere in ogni desiderio).
Non gliene si può fare una colpa al diavolo in effetti, a causa di un Dio assente (e che pretende di essere però lodato ogni giorno), sembra quasi che il compito di portare una parvenza di felicità materiale illusoria, spetti solo e soltato a lui e non a caso arriva a definirsi come "un buono incompreso". Il diavolo ha uno sguardo ironico e totalmente disincantato innanzi ad una realtà che và sempre peggiorando, ma che deve al contempo contribuire a portare avanti, anche perchè questo risulta essere il suo compito e la sua natura è inclinata totalmente al doppiogiochismo, anche se ne vorrebbe fare a meno probabilmente. Alla fine però scopriamo che il diavolo non è altro che schiavo di colui che fà da burattinaio per tutto il sistema; cioè Dio, una sorta di padrone "invisibile" ma onnipresente che contribuisce a fare del diavolo un personaggio tridimensionale, interessante e ben lontano dagli stereotipi dove la religione l'ha confinato. Donen ha sempre un'atteggiiamento positivo verso la vita, ma dagli anni 60' in poi, il suo sguardo verso la realtà si fà sempre più dolce-amaro, così come il finale della pellicola che risulta abbastanza realista e con una semplice quanto sana morale di fondo. La pellicola fu l'ultimo successo al botteghino del regista (che però ebbe problemi con la giustizia inglese, poichè a quel tempo la blasfemia era reato in Gran Bretagna), che di lì in poi complice forse anche un calo artistico (anche se i film successivi non li ho visti) ed il suo trovarsi poco in sintonia con i valori ed i temi della New Hollywood che decretarono la morte dei due generi dove il regista era forte, cioè il musical e la commedia (per lo meno secondo la visione che ne aveva Stanley Donen), lavorera'sempre meno nonostante il regista avesse solo 45 anni all'alba del 1968.
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