Regia di Christopher Smith vedi scheda film
Nell’Inghilterra del XIV° secolo la peste miete vittime a migliaia, sterminando intere città e villaggi. Un mercenario e i suoi compagni, in compagnia di un novizio, partiranno per un remoto villaggio non toccato dalla piaga e di una “strega” ritenuta capace di resuscitare i morti.
La Morte Nera, la peste, devastò l’Europa (ma anche l’Asia) della seconda metà del trecento in maniera catastrofica: quasi la metà della popolazione venne falcidiata dalla letale malattia, complice il sovraffollamento delle città, la scarsa igiene (le fogne erano a cielo aperto) e l’arretratezza della scienza medica rispetto ad altre discipline, principalmente umanistiche, maggiormente sviluppate (soprattutto in ambito filosofico e teologico). Si cercava rimedio alla catastrofe pregando, bruciando “streghe” ritenute responsabili dell’epidemia o, al massimo, con inutili e pericolosi salassi per riequilibrare gli “umori”. In questo scenario inizia la storia raccontata nel sorprendente film di Cristopher Smith (uscito solo per il mercato homevideo), regista e sceneggiatore britannico qui al suo quarto lungometraggio. Stupisce, da subito, l’approccio laico e disincantato dato al racconto: si poteva cadere, infatti, nella trappola della pedissequa reiterazione di argomenti triti, impantanandosi nelle secche di un facile e sterile esercizio di stile su tematiche visive e sceneggiative già acquisite dall’immaginario collettivo, su un periodo storico “oscuro” e caratterizzato da continui e sanguinosi soprusi compiuti sfruttando la credulità e la sprovvedutezza di un popolo schiacciato tra “Castello” e “Chiesa”. Smith, invece, mette subito in chiaro la sua idea sulle religioni (pagane o ufficiali che siano), rappresentate come fautrici di opposte e sanguinose estremizzazioni. Tutte sfruttano la paura e la (giusta) ignoranza delle persone comuni (le arti e le scienze, all’epoca, erano vietate al popolino), impossibilitate a comprendere il flagello abbattutosi sulle loro teste e alla strenua ricerca di una risposta all’inspiegabile. L’intreccio, su un tessuto narrativo apparentemente classico (gruppo eterogeneo di guerrieri in viaggio verso l’ignoto) si estrinseca in maniera essenziale, evitando inutili duplicazioni sceniche e mettendo in mostra robuste dosi di violenza “barbarica” e sanguinaria, non risparmiandoci particolari “gore”; in questo senso, appaiono chiare le fonti di ispirazione del regista, e cioè l’Annaud de “Il Nome della Rosa” per l’insieme e il Boorman di “Excalibur” per il vigore “scabroso” dell’azione. Una discreta e terrea fotografia, priva di colori “vivi”, completano l’insieme di un film molto interessante, sporcato solamente da qualche eccesso melodrammatico, da alcuni passaggi un po’ didascalici e televisivi.
Tragica.
Buona.
Esangue.
Indeciso.
Bieca.
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