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Diverso dagli altri

Regia di Richard Oswald vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Diverso dagli altri

di kotrab
8 stelle

Diverso dagli altri (Anders als die Andern) è un caso emblematico di film-opera d'arte-studio-saggio d'impegno sociale e politico tra i più perseguitati, solo in parte sopravvissuto alla censura e poi ai roghi nazisti, potremmo dire miracolosamente. Il film risale al 1919 e già questo ne sancisce l'importanza dato il periodo allo stesso tempo favorevole e ostile: favorevole perché la censura in Germania era stata abolita il 12 novembre 1918 (solo fino al 1920, in seguito alle accuse rivolte al film dagli intellettuali reazionari tedeschi), ostile perché in seguito alla catastrofe della prima guerra mondiale e ai trattati di pace umilianti del gennaio 1919 la Germania era in una situazione di totale prostrazione e inquietudini sociali di vario tipo (che nondimeno coinvolgevano tutte le nazioni uscite dal conflitto).
Come afferma Mauro Giori nel suo esaustivo e soprattutto documentato saggio Anders als die Andern: racconto, documento, monumento - Storia e analisi del primo film dedicato alla difesa dell'omosessualità (a cui rimando: http://www.culturagay.it/cg/saggio.php?id=2), il film del viennese Richard Oswald (R. Ornstein) pare essere per l'appunto il primo film che affronti di petto quest'argomento, se si esclude però l'allusione in Vingarne (Ali) diretto dallo svedese Mauritz Stiller nel 1916.
Ciò che rende il film particolarmente importante, al di là della buona realizzazione artistica, sono la collaborazione alla sceneggiatura e la supervisione scientifica del dottor Magnus Hirschfeld, autorità contrastata nel campo della sessuologia dell'epoca (qui nei panni di se stesso), impegnato nella lotta contro le discriminazioni ideologiche, scientifiche, sociali e politiche degli omosessuali e co-fondatore nel 1897 del WHK, il "comitato scientifico-umanitario", prima associazione di questo tipo della storia. Figura, quella di Hirschfeld, che non è esente da aspetti discutibili dovuti al contesto storico, ma che tuttavia rimane fondamentale e ammirevole.
Da quel che rimane del film di Oswald - appartenente ad un genere educativo e impegnato, quello appunto dell'Aufklarungsfilm -, si percepiscono l'onestà dell'operazione e la serietà delle intenzioni: la vicenda melodrammatica (che pare non avesse mancato di commuovere almeno una parte del pubblico, soprattutto femminile) si svolge in un realismo ambientale e sociale legato alla quotidianità più diretta, sostenuta dalla cura scenografica e dalla tecnica semplice, chiara e significativa della regia e del montaggio, una regia solida grazie alla prolifica produzione degli anni precedenti e capace di comunicare ancora oggi. Il realismo (che d'altra parte si avvale di caratteristiche quasi espressioniste in certe scene dove prevale il nero o a volte per l'uso del trucco) appare tale anche grazie (o nonostante) la recitazione teatraleggiante, ma non troppo, del grande C. Veidt nel ruolo del virtuoso violinista Paul Korner, innamorato di Kurt (F. Schulz) che a sua volta ne è attratto (all'inizio dal punto di vista artistico, poi anche sentimentale). Le istituzioni però ostacolano ogni minima devianza dalla strada retta del matrimonio eterosessuale, anche l'amicizia troppo stretta e intima è guardata con sospetto. Significativa infatti la sequenza a flashback del collegio, in cui il giovane Paul (Karl Giese) e il compagno di stanza Max sono sorpresi a baciarsi dal loro insegnante: una scena toccante e molto incisiva nella sua semplicità, che pur non mostrando nulla (l'accusa di oscenità è del tutto immotivata in ogni sua parte, come dicono alcune testimonianze dell'epoca sul film quindi integrale) suggerisce senza falsi pudori, ma anzi con delicatezza, sincerità e chiarezza. Che sia un bacio è inequivocabile perché, prima dello stacco sul volto sconcertato e scandalizzato del professore, vediamo per un attimo, senz'altro sufficiente, Max che si avvicina al volto di Paul che è a letto disperato. Scena questa significativa anche per quanto riguarda l'ipocrisia del professore, che, a causa della posizione sociale del padre di Paul, non può far più di tanto e si avventa quindi in particolare su Max, dicendo di prendere provvedimenti.
L'obiettivo degli autori è però più in particolare quello dell'abrogazione del famigerato §175 del codice penale, ereditato dall'unificazione dell'impero tedesco del 1871 (ancor prima dal regno prussiano). Esso è la principale causa dei mali e della disperazione spesso suicida degli omosessuali, ancora considerati malati e innaturali e soggetti ad un'altra e peggiore piaga della società, quella della delazione, favorita proprio dalla clandestinità delle vittime (il ruolo del ricattatore Franz, ambiguo nella sua identità distorta, è interpretato da R. Schunzel; anche Franz è vittima di se stesso e della legge e vorrebbe trovare riscatto nella vendetta e nell'invidia, perché molto probabilmente è lui medesimo omosessuale).
Oswald parallelamente alla narrazione vera e propria inserisce sequenze semidocumentaristiche dove Hirschfeld in persona illustra i suoi studi ad una conferenza. Lo scritto principale a cui si fa riferimento è, presumo, il saggio del 1901 intitolato Quello che la gente deve sapere sul terzo sesso! (www.giovannidallorto.com/testi/germa/whk/whk.html), che ricordai già a proposito del bel documentario, guarda caso, Paragraph 175 di Rob Epstein e Jeffrey Friedman (2000).
Nonostante la mutilazione in cui ci è giunto, Diverso dagli altri ha ancora ottimi motivi per essere visto e apprezzato, ovviamente come testimonianza di civiltà e di fratellanza, ma anche di riflessione sulla Storia e sull'etica e come livello di sobrietà e onestà artistica, tanto più che si distacca dalle imitazioni commerciali degli stessi Aufklarungfilme e dalle analoghe operazioni, più o meno riuscite che siano, del cinema exploitation statunitense ed europeo (per cui vedi per es. Sex and Violence di Roberto Curti e Tommaso La Selva per edizioni Lindau).
Non nego affatto che sia d'importanza vitale per la Chiesa e lo Stato tener d'occhio come i libri, al pari degli uomini, si comportino; e perciò confinarli, imprigionarli e render loro la più severa giustizia come a malfattori. I libri infatti non sono per nulla cose morte, bensì contengono in sé una potenza di vita che li rende tanto attivi quanto quello spirito di cui sono la progenie; di più, essi preservano come in una fiala la più pura forza ed essenza di quel vivente intelletto che li generò. [...] Chi uccide un uomo uccide una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione stessa, uccide l'immagine di Dio nella sua stessa essenza. [...] Se è la riforma dei costumi a cui si mira, guardate l'Italia e la Spagna, se quei posti siano un briciolo migliori, più onesti, più saggi, più decenti, per tutto il rigore inquisitorio che vi è stato esercitato sui libri. Questa breve e parzialissima citazione dall'Areopagitica (1644) di John Milton per la libertà di stampare senza licenza, mi pare estremamente significativa, sempre attuale e universale per quanto riguarda le censure di ogni tipo, le quali impoveriscono la cultura e la religione, non favorendo il dibattito (pacifico) tra opinioni opposte e ristagnando il sapere e la creatività, di per sé espressione umana fondamentale. Eppure è anche vero che per alcuni la stessa censura e gli impedimenti sono lo stimolo per aggirarli e combatterli con maggior forza; in ogni caso non potranno mai prosciugare la fonte incalcolabile e incontenibile dell'ingegno creativo e studioso, né l'inalienabilità ineffabile dei sentimenti. 8

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