Regia di David Yates vedi scheda film
Tutto finisce, anche la saga di Harry Potter. Ci sono voluti 8 film e ben 14 anni, considerato che il produttore David Heyman ci lavorava già dal 1997. Alla resa dei conti il nemico più acerrimo è vinto: il Vaticano. “L’Osservatore Romano“ ha abbracciato in pieno i valori della pellicola e se una sua firma (G. Vallini), pur apprezzandola, la definisce «fin troppo dark», un altro recensore (A. Carriero) ne loda le qualità morali e giudica Lord Voldemort: «Immagine dell’uomo postmoderno che, ponendosi al centro dell’universo, crede di poter disporre di sé come meglio crede. [...] Dietro a un uomo apparentemente forte e sicuro di sé, alberga poi una paura folle della morte, tanto da spingerlo a ricercare l’immortalità». Insomma, sono lontani gli strali di Ratzinger contro una serie allora ritenuta diseducativa. Ma confessiamo di aver preferito Harry ai tempi in cui era venato dal sospetto di poter cadere in un baratro, quando era tentato dal Male e, soprattutto, quando Cuarón infarciva il terzo film di elementi che richiamavano questioni più reali dell’adolescenza. Purtroppo, da allora, la saga al cinema è stata addomesticata e anche questo finale risulta pavido. Certo Harry Potter si prepara ad affrontare l’ultimo sacrificio, ma come avere paura per la sua sorte quando ha in mano la Pietra della Resurrezione? E poi la rivelazione sul ruolo di Piton arriva sì a chiarire tutto, ma si guarda bene dall’intaccare la famiglia del protagonista ormai santificata. Inoltre tutti i cavilli che impediscono a Voldemort il pieno utilizzo della potentissima Bacchetta di Sambuco risultano non poco involuti, e si potevano trovare modi meno confusi di riportare il successo di Harry a un atto di carità (verso Draco). La produzione comunque si conferma curatissima (tranne per i costumi dell’epilogo, ambientato in un futuro dove ci veste come nei tardi 70), il cast di grandi veterani è impeccabile - con l’aggiuta di un irriconoscibile Ciarán Hinds - e all’ultima rinione manca solo Imelda Staunton. Peccato per altro, perché la sua crudele maga thatcheriana in tailleur rosa rimane il villain più memorabile. Tornano anche tutti i luoghi della serie, dalla banca Gringott (qui da rapinare) alle sale di Hogwarts devastate dall’assedio (con un buon 3D tra nebbie e raggi di luce). Il senso di chiusura è innegabile, come il sollievo di essere usciti a riveder le stelle.
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