Regia di David Yates vedi scheda film
E VISSERO FELICI E CONTENTI?
In “Harry Potter e i doni della morte-parte II’” capita di vedere il noto maghetto con gli occhialini rotondi, ormai quasi quarantenne, accompagnare il figlioletto al treno che lo porterà alla scuola di magia di Howgarts per ricevervi la medesima istruzione del padre: un passaggio di consegne obbligato forse, ma che si tinge di malinconia. L’espressione del rampollo nato da Harry e dall’ innamorata diventata moglie non è troppo spaventata di fronte a una dimensione della realtà per lui non sorprendente: il papa gli ha raccontato e ora lo tranquillizza, spiegandogli che il suo è un rito di iniziazione inevitabile, come per tutti i bambini il primo giorno di scuola. L’avventura presumibilmente continuerà, ma sarà un film già visto. Malinconia dunque, perché all’inizio la Rowlings aveva saputo rinverdire l’archetipo dell’eroe salvifico in lotta contro i mostri adattandolo ai cupi tempi moderni e i quattro registi, Newell, Columbus, Cuaròn e Yates, che si sono succeduti nella trasposizione sullo schermo delle sue pagine ne avevano rispettato lo spirito: Yates, regista delle ultime quattro parti della saga, ha però qui l’ingrato compito di fare presagire la futura reincarnazione del mago adolescente in uno dei tanti supercampioni creati da cinema e fumetti destinati fra effetti speciali a sottrarre l’umanità ai funesti poteri del malvagio di turno.
Harry comunque perde il carisma gettando la bacchetta magica di sambuco nel precipizio, solo dopo aver dimostrato soprattutto a se stesso di non essere un falso mito: a sua volta in “I doni della morte” Yates ribadisce le peculiarità uniche di un eroe insicuro di sé tuttavia degno dell’immortalità prima di confondersi nell’anonimato piccolo borghese suscettibile di metamorfosi in un Superman qualsiasi. Il maghetto per questo combatte la battaglia definitiva proprio nel luogo, dov’è stato educato, contro i nemici di sempre, Valdemort e complici, aiutato dagli amici di una vita, Hermione e Ron , nonché da un esercito di pietra invocato ad hoc da un incantesimo: il redde rationem si svolge con colori e toni da “Il signore degli anelli” fra le mura di Hogwarts assediata e ridotta in macerie, eppure non si tratta che di uno sfondo per una guerra tutta interiore, portata avanti da chi si vede appunto crollare il mondo addosso. Chi sono io e chi sono gli altri? Bene e male indossano maschere ingannevoli? Sono queste la domanda che assillano Harry e a cui deve trovare risposta non necessariamente per vincere ma più semplicemente per affrontare la vita da uomo maturo: mentre intorno a lui le certezze consolidate precipitano assieme alle allegre bizzarrie di Hogwrts, egli si astrae, immergendosi nella foresta tenebrosa che abita inesplorata in fondo alla sua anima, foresta tenebrosa che egli condivide con Valdemort. Negli abissi della psiche nascono i mostri che, se lasciati emergere, portano alla follia distruttiva, se rimossi, a una conoscenza dimezzata: Valdemort e Harry si incontrano dunque al medesimo bivio, vittoria e sconfitta coincidono e alle irraggiungibili vette dell’Olimpo si preferisce, rassegnati e saggi, i placidi mari della normalità. Il mago illusionista svanisce nell’aria, l’adulto passeggia tranquillo per le strade urbane, compitando il suo triste “e vissero felice e contenti”
Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2668046.html
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