Regia di Stephan Komandarev vedi scheda film
Per un Kusturica che ripete all’infinito quanto è bello il folklore balcanico, con tutte le carabattole (nel suo ultimo pessimo Promettilo vola di tutto per aria, galline, pignatte, sidecar con una voluttà del non lasciare spazio che non sia intasato – mancano solo i salami di Jacovitti!), per fortuna arriva dalla Bulgaria (dico: arriva, ma non si sa se e quando arriverà in Italia) il quarto film di Stefan Komandarev, Svetat e golyam i spasenie debne otvsyakade (2008, titolo internazionale The World Is Big and Salvation Lurks around the Corner), sceneggiatura di Yurii Dachev.
In lizza per gli Oscar 2010 insieme al Nastro Bianco di Haneke e al Segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella come migliore film straniero, l’opera del regista bulgaro si avvale della più grande performance di Miki Manojlovic, un attore che, triturato nel calderone di molti film cui ha offerto la sua maschera irresistibile di hajduk buono per tutte le stagioni (dopo il Marko di Gatto nero gatto bianco, il Miki di Irina Palm, l’improbabile Dostoevskij dei Demoni di San Pietroburgo e il Nerio Winch di Largo Winch, torna in gran forma per interpretare il ruolo di un nonno vigoroso che parte in Germania per ritrovare il nipote Saško (Carlo Ljubek) che ha perduto la memoria in seguito a un incidente nel quale hanno perso la vita i suoi genitori.
Emigrati in Germania prima del crollo dell’Unione sovietica, intorno alla metà degli anni Ottanta, quando la Bulgaria era dominata dal dittatore Živkov, i genitori di Saška, Vasko Georgiev (Hristo Mutafchiev) e Yana Georgieva (Ana Papadopulu), dopo quindici anni, mentre viaggiano per fare visita al nonno Bai Dan (Miki Manojlovic) e alla nonna Baba Sladka (Lyudmila Cheshmedzhieva), perdono la vita. Il giovane Saška è ricoverato in un ospedale tedesco, non sa cosa gli è successo, non sa chi sia. Nonno Bai Dai è accolto dal nipote con sospetto, ma lentamente si instaura tra i due un’amicizia, attraverso la quale il ragazzo riconquisterà la memoria.
Bai Dai, uomo pratico della vita, inviso al regime e più volte incarcerato (una volta ha abbattuto una statua di Stalin), si è sempre sentito in colpa nei confronti del figlio e della nuora che sono stati costretti a emigrare per non sottostare al ricatto di un lercio poliziotto che odia Bai Dai perché è un sovversivo, ma soprattutto perché Bai Dai è il re del backgammon nel bar più frequentato del paese.
Saška riacquisterà gradualmente la memoria nel viaggio di ritorno all’Est su una bicicletta in tandem con il nonno. Nelle soste del lungo viaggio, Bai Dai farà l’arte della maieutica, raccontando al ragazzo la recente storia del dissolvimento dei Balcani, le storture della dittatura, le famiglie in rovina; insegnerà a Saška come diventare uomo, succhiando baklava e lokum e buttando all’aria i farmaci antidepressivi, sostituendoli con whisky e botte di vita. Un viaggio che è insieme ricordo e rinascita, tra i monti superbi e le strade in discesa a serpentina che portano a casa.
Non è cambiato nulla dopo il crollo del comunismo: all’ingresso del paese dei segnali per le nuove imminenti elezioni indicano il candidato del nuovo socialismo democratico: è il poliziotto che ha indossato la casacca del voltagabbana. Nel villaggio è festa: il vecchio Bai Dai butta il nipote nella mischia, è fatta, Saška casca tra le braccia di Maria (Dorka Gryllus, la Luisa di Irina Palm, l’Anna Mondstein di Soul Kitchen).
Ora non rimane che tornare nel bar per la sfida a backgammon tra Bai Dai e Saška. Decideranno i dadi chi sarà il vincitore tra il vecchio e il giovane. I dadi non vengono giù per caso, questo ha insegnato Bai Dai a Saška nelle pause del viaggio, non esiste l’alea perché è il nostro cervello che affida alla destrezza delle mani l’angolatura dei dadi, il mondo è grande e la salvezza è in agguato[1] in un angolo.
Komandarev dirige un film intenso con una levità che poco o nulla concede al folclore; a differenza dell’ultimo, politicamente confuso cinema di Kusturica e Mihaileanu, ci mette sotto gli occhi la gioia di vivere senza straripamenti da Grande Serbia, illustrando con una vis polemica degna di Lamerica di Amelio le nefandezze del centro di detenzione permanente di Trieste, dove si mangiano spaghetti anche di domenica e l’ambasciatore Sforza (Georgi Kadurin) urla ai dannati della terra: “In questo Paese non esiste il diritto di asilo… marcirete qui dentro!”.
Sarà per questa ragione che al bellissimo film di Stefan Komandarev è negata la visione agli italiani?
[1] "to lurk" ha un duplice significato: 'si nasconde' e 'è in agguato' - la 'salvezza' quindi può essere in agguato dietro l'angolo'. Ma 'debne' ha un significato più soft, 'comingout', 'viene fuori', non si nasconde né è in agguato. 'Spasenje' significa anche 'liberazione', non solo 'salvezza'.
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