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Il Grinta

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il Grinta

di laulilla
9 stelle

“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me”. Immanuel Kant

 

 

Gli stilemi del western ci sono tutti: pistole, spari, deserti ai limiti del Texas, Indios, cavalli e cowboys, sceriffi un po’ ubriachi e un po’ corrotti; vendetta e giustizia self-made.

 

La differenza la fanno i fratelli Coen, che certamente apprezzano il cinema western, ma ne fanno occasione per trattare i temi che li contraddistinguono: il ridimensionamento dell’eroe; la casualità degli eventi che sfugge a qualsiasi logica progettuale; la conoscenza del male e della legge morale, che insegna a distinguere la vendetta dalla giustizia.

Qui, come in altri loro film, questi argomenti innescano una serie di invenzioni formali di grandissima suggestione, punteggiate dall’ironia di sempre.

 

Una ragazzina di soli quattordici anni, Mattie Ross (Hailee Steinfeld) è fermamente intenzionata a ottenere giustizia: vorrebbe vedere condannato all’impiccagione Tom Chaney (Josh Brolin), l’assassino di suo padre che si è dato alla fuga. La prima parte del film ci mostra Mattie che va alla ricerca di un uomo che sia in grado, per esperienza e determinazione, di trovarlo e di portarlo davanti a un giudice. Questi potrebbe essere lo sceriffo anziano e feroce Rooster Cogburn (Jeff Bridges): per raggiungerlo e persuaderlo non esita a percorrere le strade più difficili, apparentemente le meno adatte a una ragazzina come lei: la piazza dell’impiccagione di tre condannati a morte, cui assisterà senza alcun turbamento, ottenendo poi di dormire nell’ improvvisato obitorio del becchino.

Si avvia, dopo l'incontro con Cogburn riluttante e ambiguo, il viaggio di formazione di Mattie - questo è, almeno secondo me, il senso del film - accompagnato, a tratti, dal ranger texano, cacciatore di taglie, La Boeuf (Matt Damon), a sua volta alla ricerca di Chaney.

 

Nessun piano, per quanto accuratamente preparato, si realizzerà secondo le previsioni: il caso é costantemente con i personaggi e con il loro spostarsi dentro una natura fotografata meravigliosamente.

Contro ogni attesa, e nel momento più tranquillo, Chaney verrà riconosciuto da Mattie e solo lei lo affronterà uccidendolo, subito dopo precipitando in una grotta sotterranea in cui avverrà l’incontro colle serpi in agguato. La caduta, l’incontro coi serpenti, la difficile riemersione alla luce, la fuga e la conclusione del viaggio (non del film, che è più convenzionale) mi pare abbiano significati allegorici e metafisici riecheggiando, in qualche misura, le suggestioni bibliche, che già l’incipit del film, aveva opportunamente evocate.


In questa luce si potrebbe interpretare, a mio avviso, la  suggestiva scena notturna in cui la cavalcata di Rooster e Mattie sta per concludersi: l’infinito deserto, illuminato dalle infinite stelle del cielo, sfondo della stanchezza e del dolore di Mattie - che ora, dopo l’esperienza del male e della morte, la giovane ha conquistato e che porterà con sé per sempre (quel braccio mutilato) - è separato dal resto dell’universo di cui quel cielo stellato è emblema, come ci ricordava Kant.

 

 

 

 

Questo film, insomma, è un western in apparenza (come avviene sempre nelle opere dei Coen); è, invece, una rappresentazione che, utilizzando molti stilemi dei vecchi western, riflette sul senso della giustizia, sulla morale che nasce in noi solo attraverso la perdita dell’innocenza, ovvero  prendendo coscienza della morte e del vuoto che ci assedia.

Film, perciò, metafisico, nonostante ciò che sembra. Gli attori sono magnifici e magnificamente diretti, davvero tutti quanti, anche se si distinguono in modo particolare Jeff Bridges e una bravissima Hailee Steinfeld, quasi una bambina, nei panni dell’unico personaggio davvero grintoso: Mattie.

Ogni raffronto – per quanto inevitabile – col film di Hataway con John Wayne, dallo stesso titolo, è, a mio avviso, infruttuoso, né aiuta a comprendere l’originalità di questo.

 

Questa recensione fu da me inviata a Mymovies il 20 febbraio 2011; l'ho rielaborata (dopo aver rivisto il film su DVD), stimolata dal commento di Munnyedwards alla bellissima recensione di Spopola.

 

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