Regia di Scott Charles Stewart vedi scheda film
E all'insegna del riciclaggio ecco che arriva anche "Priest", action post-apocalittico ispirato all'ennesima graphic novel di tendenza che vede l'umanità in balia di una feroce guerra fra vampiri e clero. Ebbene sì, altri succhiasangue su grande schermo, come se non ce ne fossero già abbastanza, questa volta però ci viene risparmiata la relativa "umanizzazione" stile blade, unederworld o twilight ritornando all'immaginario da mostrillo con denti aguzzi mossi ed animati da una computer graphica di dignitosa ma non impressionante fattura. A combatterli troviamo un'élite di sacerdoti guerrieri addestrati e lobotomizzati da una santa chiesa fanatica del potere e del controllo ("Chi va contro la chiesa, va contro Dio" il tormentone-minaccia del film). Archiviato il conflitto epocale con la ghettizzazione dei mostri pipistrello (stile "District 9") da una parte e lo scioglimento dei corpi speciali religiosi dall'altra, il genere umano si rifugia in città-fortezze stile "Blade Runner" governati da ottusi monsignori convinti che la tregua durerà in eterno. Come la trama possa proseguire è intuibile: i vampiri si ribellano organizzando una controffensiva alla quale si opporrà il solito nucleo ristretto di eroi tornato alle armi. Cupo più per una questione di moda che per convinzione, il film di Scott Charles Stewart ambirebbe persino alla contaminazione western con tanto di cavalieri solitari (in moto), saccheggi di cittadine ed assalti al treno ma nonostante una discreta messa in scena ed un paio di sequenza di combattimento abbastanza riuscite, "Priest" non soprende mai e fondamentalmente non appassiona, vittima di uno script piuttosto prevedibile e soprattutto privo della benché minima ironia che tanto avrebbe fatto bene ad un prodotto di questo tipo. Certo, fa sempre piacere imbattersi nei camei antipatici di Christopher Plummer e Brad Dourif, Karl Urban fa venire voglia di dargli una vera occasione da villain (altro che Black Hat) ma anche la prova del cast, alla fine, risulta frenata ed omologata ad un insieme di presenze poco incisive e nulla più che funzionali. Peccato perché Paul Bettany e soprattutto Maggie Q meriterebbero ben altro che abbozzare una parte e per di più sfigurati da una croce in piena faccia.
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