Regia di Christian Molina vedi scheda film
L’incontro tra un’opera da Giffoni Film Festival e un derivato di Arancia meccanica e Full Metal Jacket: I Want to Be a Soldier, vincitore di un premio al Festival di Roma 2010, narra di Alex (come il DeLarge di Kubrick, e sono subito brividi da ambizioni malriposte) che desidera una televisione per sé, per compensare quella parte di affetto che i due genitori somministrano ora ai gemelli neonati. E siamo invischiati ai tempi di Secondo amore di Sirk, anno domini 1955, quando il personaggio di Jane Wyman riceveva la scatola catodica dai figli, come indennizzo per una mancata comprensione emotiva. Ed è proprio la Tv, qui, a mangiare l’anima: Alex diventa A-lex, ovviamente, infrange ogni legge perché i suoi occhi hanno fagocitato troppe immagini di violenza e dall’occhio, come ogni antica teoria apocalittica insegna, si passa fluidamente alla mano. Un bigino di arrogante sociologia spiccia e psicologismo di offensiva banalità (Alex recupera il rapporto con la madre dopo essere stato sottoposto a una Cura Ludovico composta da immagini di madri piangenti) messo in scena con gusto per la composizione del quadro e una brutalità insistita nel ribadire l’assuntino teorico, caratteristiche che suggerirebbero in qualcuno la parola compiacimento. E a ragione. Tracce di scult ovunque, ornate da ridicole rimasticazioni di dialoghi da cinema bellico. Camei di Robert Englund, Danny Glover e Valeria Marini (produttrice). Ma sono il male minore.
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