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I Want to Be a Soldier

Regia di Christian Molina vedi scheda film

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La recensione su I Want to Be a Soldier

di PompiereFI
4 stelle

I want to be a politician.

E non uno qualsiasi. Ma “il” Politico x Eccellenza. Voglio essere colui il quale sfrutta indebitamente i poteri offertigli dalla sua vantaggiosa posizione. Per beneficiarne socialmente ed economicamente. Con senso della padronanza, voglio legiferare per conto mio (cioè… per mio conto), creando un sistema inquadrato, non scalfibile, dal quale nessuno possa uscire e nel quale nessuno possa entrare. Sarei veramente onesto agli occhi di tutti e fintamente integerrimo solo ai miei.

Questa propensione non dipende proprio da un’idea radicata in me da molto tempo. In verità è sorta improvvisa, eppure confortevole. Sento che potrei ricoprire un ruolo del genere. Ci riescono in tanti, perché non potrei farlo io? A furia di guardare le immagini in tv, mi sono convinto: da grande voglio fare il Presidente del Consiglio. Quel minuscolo schermo ha catturato la mia immaginazione, ha creato dipendenza, ha semplificato la mia angoscia, riflettendo la figura degli eroi dei nostri tempi. Gli ultimi rimasti, quelli convinti che camminare a testa alta basti a investirli del ruolo. Piccoli grandi predestinati, unti dal “sissignore”, l’amico immaginario che fa comodo quando c’è da tener buona l’irrequietezza del Vaticano.

Però mi rendo conto di non essere più così malleabile. Forse, se in un’altra epoca avessi guardato più televisione, sarei potuto diventare un astronauta, un cowboy, un ballerino. Oppure un soldato. Uno di quelli che, armato fino ai denti, salva la gente povera e indifesa. C’è qualcuno che crede che la tv sia un mezzo (l’unico?) potentissimo di propaganda, e c’è chi subisce il fascino del condizionamento ideologico, l’iride impresso sulla stessa lunghezza d’onda emotiva.

Christian Molina ha provato a rappresentare la malia dell’immagine, e ha girato “I want to be a soldier”, storia di un ragazzino di 10 anni il quale, influenzato dai documentari e dalle vere azioni di guerra dei soldati, sogna di diventare uno di loro. E supera il limite, acquisendo propositi di disfacimento. Aiutato anche da un personaggio infido (portato egregiamente sullo schermo da Ben Temple) che alterna la voce dell’angelo a quella del diavolo.

Come l’Alex di “Arancia meccanica” (il regista sceglie di affibbiargli gravosamente lo stesso nome), anche il giovane subisce la Cura Ludovico dal dottor Robert Englund, e sfrutta i falsi omaggi (leggi scopiazzamenti) presi da “Full Metal Jacket” e “2001”. Così facendo lo spettatore perde di vista il bersaglio, ammesso che se ne sia voluto raggiungere uno. L’impudenza così sciorinata, genera una specie di effetto boomerang. Che sarebbe esilarante, date le apparizioni di Valeria Marini in veste di maestra e di Englund in quelle di psycologo, se non fosse per la bazzecola dello svolgimento; il quale, invece di dimostrare quanto sia pericolosa la violenza e come si possa insinuare facilmente anche nei nuclei-bene, viene esaltata in una specie di follia anarcoide mescolata a imbarazzanti dinamiche familiari.

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