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L'estate di Martino

Regia di Massimo Natale vedi scheda film

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La recensione su L'estate di Martino

di OGM
8 stelle

1980. Il culmine di un’epoca in cui il mondo sembrava immutabile, diviso da una strana pace prodotta da un conflitto mondiale, i cui vincitori si erano equamente spartiti il bottino di un intero continente. Noi che stavamo sotto gli americani e, dall’altro lato della Cortina di Ferro, i russi, con i missili nucleari puntati sulle nostre teste. E la convinzione che tutto sarebbe per sempre rimasto così. Un’illusione che sarebbe durata pochi anni ancora. Per gli adolescenti di allora, la visione dell’Apocalisse si identificava con l’incubo della catastrofe atomica, di cui il terrorismo degli anni di piombo era probabilmente una piccola anticipazione. Assassini politici ed attentati dinamitardi non potevano che essere gli sfoghi locali del grande fermento di base, di quella guerra fredda che aveva subdole ramificazioni in tutti gli aspetti della nostra vita. Poteri occulti, collocati su entrambi fronti, e con le mani ugualmente sporche di sangue. Il quattordicenne Martino, dalle spiagge del suo Salento, coglie l’eco di quelle temibili congetture nella dimensione casalinga della diceria di paese, della leggenda popolare, quella che spesso fa da sfondo agli scherzi tra amici e fornisce lo spunto per scambiarsi insulti e poi magari fare a botte.  Tutto è circondato da un alone fantastico, e quindi si fa presto a smettere di crederci, quando, per esempio, si incontra un capitano della base NATO che ti insegna il surf e diventa tuo amico. L’orco cessa alla ora di essere il protagonista della fiaba, e cede il posto ad un principessa bella e triste, che sembra irraggiungibile. Il sogno, a quell’età, è più forte della paura. Ed è tale da scacciare la parte brutta della fiaba, per cercarne il lieto fine attraverso il pericoloso territorio della realtà. Martino, che ama tanto il mare,  non rinuncia a frequentare quel tratto di costa in cui l’accesso è vietato, perche è zona militare ed è probabilmente cosparso di mine. Ha preso un grosso paio di tenaglie ed ha aperto un varco nella recinzione. Quel gesto racchiude il classico eroismo giovanile, che segue strade temerarie per inseguire comuni aspirazioni, come cavalcare le onde stando i piedi su una tavola, o fare l’amore per la prima volta sotto il cielo d’estate. In quegli scorci di straordinaria felicità, è naturale dimenticare, almeno per un momento, che l’incanto potrebbe essere improvvisamente spezzato dallo scoppio di una bomba. Con la forza magica della fantasia e con la divina intensità del desiderio il destino può essere temporaneamente sospeso, rinviato, magari invertito, perché il futuro è pura supposizione, e si estende oltre l’orizzonte della percezione, laddove tutto è possibile. La storia dell’umanità scrive le sue pagine nere, ma il vento dell’immaginazione le strappa e le scompiglia, per farne i frammenti di un terrore poetico, che non è meno crudele di quello reale, però è parte di una meravigliosa, tragica armonia. Del resto, addomesticare l’odio e il dolore, per poter dar loro il giusto posto nell’anima, è il nobile compito della letteratura: affinché le parole interpretino davvero l’artistica voce delle emozioni,  bisogna trascinarle con sé dentro un gioco da bambini, correndo a perdifiato e tuffandosi nell’acqua, fino a recuperare quella giara piena di lacrime nascosta in mezzo agli scogli.

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