Regia di Duane Baughman, Johnny O'Hara vedi scheda film
Nostalgia di uno stato canaglia. Si può studiare a Harvard e Oxford, avere prospettive brillanti in un futuro da migrante di lusso e preferire, nonostante tutto e tutti, il natìo Pakistan? Sì, se sei, anzi eri, Benazir Bhutto. Morta a 54 anni, nel 2007, da primo ministro, questa donna complessa e fuori dall’ordinario, in tutti i sensi, è stata l’ultima “principessa” di una schiatta di potenti. E martiri. Una sorta di famiglia Kennedy nell’inferno di Islamabad e dintorni: dal primo presidente pakistano democraticamente eletto, suo padre, poi condannato a morte, a un fratello morto in un incidente aereo sospetto e a un altro avvelenato con lei già premier. Una maledizione di morte e di potere che ha sterminato le speranze di un Paese, di un’area. Il buon documentario di Duane Baughman e Johnny O’Hara ricostruisce la figura controversa di una donna accusata di corruzione, esiliata, tornata vincente, infine uccisa da un kamikaze. Passionale demagoga alla Evita Peron, intellettuale e stratega, figura carismatica e tragica, bella e sostanzialmente sola, qui è un’eroina shakespeariana con derive da soap opera. Analitici e populisti, per due ore Duane e Johnny ci regalano un’incerta agiografia pop, per restituirci l’icona. Missione compiuta.
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