Regia di Sylvain Chomet vedi scheda film
Una panacea per gli occhi.
Già ciò basterebbe per descrivere positivamente questa bell’opera d’animazione diretta da Sylvain Chomet, che già si era espresso su ottimi livelli col precedente “Appuntamento a Belleville”, ma poi c’è veramente una visione malinconica, ma non triste a tutto campo, che trova ampio respiro, ma soprattutto che ci fa respirare un’aria intensa (mi verrebbe da dire “nuovamente vecchia”) e dai retrogusti tanto lontani quanto ricchi di significati che fanno riflettere.
Tatischeff è un illusionista, un mago che vive facendo spettacoli nei teatri e, giocoforza, non solo.
Il mondo va inesorabilmente avanti senza fare sconti, le rock star si stanno prendendo tutti gli spazi e a lui non rimane che emigrare e fare i suoi spettacolo in bar di periferia.
Ed in un pub scozzese conosce la giovane Alice che darà un nuovo altro senso alla sua vita.
Insieme si recheranno ad Edimburgo, una nuova occasioni per entrambi.
E’ un cinema che sa di magia, e non solo perché poi il protagonista è dell’abito come professione, un omaggio che sa pescare bene e che soprattutto sa coltivare nel racconto ciò che mostra, coniugando le immagini alle emozioni.
Chomet sfrutta come si deve una sceneggiatura di Jacques Tati, ed inscena un rapporto, che poi trova ancoraggi di rilievo in un rapporto incompiuto tra padre e figlia dello stesso Tati (non per niente la sceneggiatura è stata fornita dalla figlia Sophie), e la incornicia in un mondo del passato, ma che si può leggere in maniera multiforme anche nell’oggi.
Così l’eccellenza, in qualsiasi ambito essa si collochi, finisce con l’essere soverchiata dalla moda imperante, così il protagonista è costretto è spostarsi in periferia per poter ancora stupire (un po’ come oggi il mondo occidentale sta venendo soppiantato da ciò che avanza), ma poi l’esempio che ci viene portanto è altrettanto encomiabile.
L’illusionista si presta a fare ad altri lavori senza vergogna, anche causando danni, poi arriva un finale in pompa magna, anche se all’incontrario (nessun colpo di scena, solo una processione che segue il tempo che fa), le luci si spengono passo dopo passo, ma ancora un semplice gesto (vedasi la scena sul treno) può dare all’occhio innocente la fantasia che fa (e che ci farebbe) un gran bene.
Cinema di pura poesia, senza escamotage, un film pennellato nei colori e profondo nei significati.
Da tutelare (e diffondere).
Difficile dire se è più bravo nel tratto del disegno o nel saper trasmettere sensazioni spesso sopite e poco coltivate nel cinema di oggi.
Quel che è certo è che è bravo, molto bravo.
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