Regia di Sylvain Chomet vedi scheda film
I maghi non esistono e L’illusionista non è un film sulla magia. Forse sulle illusioni. Sicuramente un’elegia malinconia, tristissima, su un tempo perduto che non ritornerà più. Le illusioni sono quelle di Alice, una ragazza di campagna, che arriva in città insieme al mago Tatischeff e scopre le dolci bugie della moda e compie lentamente una trasformazione, fino a diventare una ragazza meravigliosa che scoprirà anche l’amore. La nostalgia è quella per il tempo in cui si andava a teatro, al vaudeville, per passare una serata e divertirsi. Un tempo in cui l’intrattenimento era reale, non proveniente da uno schermo (le prime televisioni) o da un juke box. L’arrivo della tecnologia sembra uccidere lo spirito profondo dell’arte dello spettacolo, gli impresari sono alla ricerca di nuovi fenomeni (i britoons), i vecchi artisti non vanno più bene (il ventriloquo, il clown) e per loro non rimane che una corda, con la quale impiccarsi o una bottiglia da svuotare.
E poi c'è un incredibile lavoro fatto sul corpo di Tatischeff, che riprende gli studi sul movimento di Jacques Tati, che vediamo omaggiato, all’interno di un cinema, in una delle sue pellicole, Mon Uncle. E quindi, in un tempo in cui proprio il corpo dell’attore sta trasformandosi in un avatar o in un simulacro digitale, è il cinema di animazione a riappropriarsi di questa arte del movimento, anch’essa perduta, quasi dimenticata.
L’illusionista ha la consistenza dei ricordi e delle nuvole grigie che si muovono basse sul cielo, ha l’odore della pioggia e di piccole stanze, ha la tristezza di vite scomparse e di luci che si spengono, di sogni che svaniscono un attimo prima dell’alba.
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