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Proie

Regia di Antoine Blossier vedi scheda film

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La recensione su Proie

di pazuzu
6 stelle

Una famiglia di proprietari terrieri ed industriali è riunita nel proprio rifugio di campagna per discutere i problemi inerenti l'azienda di loro proprietà, produttrice di fertilizzanti e pesticidi, tenuta sotto controllo dalle autorità a causa dell'abuso di sostanze tossiche. Ma quando, una mattina, dei cervi si gettano inspiegabilmente sulla recinzione elettrica che ne delimita il territorio, si rendono conto che da risolvere c'è prima un'altra questione ben più impellente: da una zanna conficcata come un souvenir in una delle carcasse, deducono che il responsabile debba essere un grosso cinghiale. Decisi a farlo fuori, i quattro uomini di casa improvvisano una battuta di caccia nella palude boscosa attigua: sono Eric, il pater familias e padrone del terreno, all'oscuro delle irregolarità di cui l'azienda è accusata, David, il figlio che erediterà la terra, uomo scontroso e risoluto, Nicholas, l'altro figlio, cinico vile e senza scrupoli, responsabile della gestione dissennata della fabbrica, e Nathan, medico idealista e suo odiato futuro genero, cui preme portar via Claire, la fidanzata incinta che per via degli impegni nella fabbrica (è lei ad occuparsi delle formule chimiche) tarda ad annunciare la propria gravidanza. A completare il quadro c'è infine Marie, la madre di Claire, che insieme a lei attende nella tenuta il ritorno del gruppo.
Semplice nella trama e nel suo svolgimento, Proie è l'opera prima del francese Antoine Bloisser, un horror buio e scuro dichiaratamente devoto al cinema di genere degli anni 80 e 90: si va da La cosa di John Carpenter a I guerrieri della palude silenziosa di Walter Hill, passando per le atmosfere putride care a scrittori come Stephen King (tirato in ballo dallo stesso regista) e Joe R. Lansdale, per finire ai più recenti anni 2000 del primo Neil Marshall, quello di Dog Soldiers e The Descent. Il tema è quello del gruppo sotto assedio, un manipolo di individui che eguaglia e supera in mostruosità quelle stesse bestie a cui dà la caccia (e da cui è cacciato), mutate ed impazzite proprio a causa delle sostanze tossiche provenienti dalla loro fabbrica.
Dopo il bell'incipit (la succitata scena del ritrovamento dei cervi) e gli evocativi titoli di testa in cui cattura immagini del bosco, teatro dell'imminente tragedia, Bloisser abbassa il ritmo per una manciata di minuti, giusto il tempo di introdurre il pubblico alle dinamiche che governano i rapporti tra i vari membri: e sono rapporti tesi, cui il regista conferisce un ruolo centrale dal primo all'ultimo fotogramma, fatti di rancori taciuti ma pronti ad esplodere quando la situazione, inevitabilmente, precipita: in una notte interminabile, i protagonisti dovranno far fronte non solo alla furia di un nemico inafferabile, ma anche e soprattutto a loro stessi.
Nel confezionare con un budget limitato un'opera orgogliosamente di genere e fieramente retró (in quella direzione va letta l'utilizzo parsimonioso degli effetti digitali), Bloisser dimostra di sapere il fatto suo in quanto a gestione del ritmo e costruzione della suspense, riuscendo a spaventare senza far mai vedere il temibile cinghiale se non di sfuggita, con brevi dettagli e solo per frazioni di secondo o celandolo dietro mille rovi, tenendo invece sempre alto il volume del suo snervante lamento (ottimo il lavoro sul suono).
Nonostante questi pregi, e nonostante la presenza di scene di sicura presa (impressionante quella in cui Nathan si nasconde sotto la carcassa di un cinghiale morto per fuggire ad un altro vivissimo e affamato), Proie qualche difetto lo ha, e pesa sul giudizio complessivo: pesa la prevedibilità di fondo, dovuta alla sostanziale mancanza di originalità, che nega al film spunti veramente memorabili o genuinamente sorpendenti; pesa la caratterizzazione talvolta inadeguata dei personaggi (tagliata con l'accetta quella del cattivissimo Nicholas, prive di nerbo quelle del fratello David e del padre Eric); e, soprattutto, pesa l'uso smodatamente aggressivo della camera a mano: onnipresente per (giusta) scelta, perché utile a creare un'atmosfera di incombente minaccia (e a coprire i limiti economici), diviene insostenibile quando si incolla ai soggetti in maniera fin troppo asfissiante, con primi e primissimi piani che, soprattutto nei corpo a corpo, divengono disarmonici e confusi, finendo per annacquare in uno sterile senso di stordimento una tensione altrimenti ben servita.
Presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2010 nella sezione "L'Altro Cinema", Proie è dunque un esordio appassionato ma derivativo, interessante ma talvolta impacciato, un horror serrato e claustrofobico girato con passione da un regista, Antoine Blossier, che merita di essere seguito perché con la macchina da presa ci sa fare, ma che qui di tanto in tanto deborda dimostrando di piacersi un po' troppo. ***½

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