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Arrietty

Regia di Hiromasa Yonebayashi vedi scheda film

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La recensione su Arrietty

di M Valdemar
8 stelle

Lugubri e incivili sono codesti tempi, se un'opera meravigliosa come Arrietty passa inosservata, quasi clandestinamente, sotto il pavimento tombale di una società sazia e ignorante. E, nel mentre, produzioni infinitamente più piccole (per dimensione artistica e impegno) ma ricche di tutto lo stolto immaginario (estetico/contenutistico) fatto di frastornanti spettacoloni concepiti sottovuoto cerebrale - sia che si tratti di derivazioni fumettistiche che di animazioni vere e proprie - “prendono in prestito”, anzi, proprio rubano lo spazio a chi più lo meriterebbe. Ma questa non è né una novità né una rarità, tutt’altro.
Ciò detto, non è che Arrietty (prodotto dal leggendario Studio Ghibli) sia un capolavoro imprescindibile e imperituro, ha dei punti deboli, specie nella sceneggiatura con alcuni passaggi incongruenti, ma, diamine!, “diamanta” una storia elementare d’uno sguardo e un respiro lirico eccezionali, innestando armoniosamente temi e significati importanti. Del resto, com’è noto, c’è l’impronta straordinaria del Maestro Hayao Miyazaki (cosceneggiatore), il suo spirito che aleggia e sorveglia soavemente e amorevolmente l’intera operazione. La regia, affidata al giovane Hirosama Yonebashi (animatore di talento), prosegue nel percorso poetico e simbolico del geniale creatore de La città incantata, deliziando con una rappresentazione superba, tale che la complessità degli elementi esposti si tramuti in una semplicità “familiare” per chi la riceve, ossia noi spettatori. La forza dei grandi.
L'accurato lavoro svolto sulle minuzie, sui particolari - di ambienti, animali, persone, ogni cosa - è stupefacente, ci catapulta in una dimensione che ha il profumo della Natura e la potenza visiva di dolci rimembranze fanciullesche, di quando lo sbalordimento (ci) albergava puro e fluente.
Un film, questo, rivolto ai più piccoli, anche coloro che all’apparenza non lo sono più. Le coordinate della narrazione si muovono entro una linearità descrittiva classica, lieve e facilmente assimilabile; il racconto delle avventure di due adolescenti, appartenenti a mondi diversi che s‘incontrano - lei, Arrietty, energica figlia di una famiglia di esseri minuscoli; lui, Sho, dodicenne “umano” malato e solitario -, è delicato e fluido, “piacevole”, ma anche accorto e connotato di (più o meno) evidenti richiami educativi, talvolta scontati quanto più, nella quotidianità, inascoltati.
Le creaturine vivono sotto il pavimento di una casa di persone “normali” (che ne sono all’oscuro) e, per usare una loro espressione ricorrente, “prendono in prestito” dagli avanzi di questi ultimi quanto gli abbisogna per vivere (messaggio di un‘attualità disarmante); l’amicizia, sincera, che lega i due protagonisti, insegna loro (e a noi) il rispetto per gli “altri”, i rischi per le specie in via di estinzione (e sulle cause), gli ostacoli, anche insormontabili, che riserva la vita, e il modo per ritrovare un entusiasmo che si credeva perduto; inoltre, la coscienza, che ogni azione, anche la più buona, ha delle conseguenze, come riflette anche il bel finale, che non è certo il comune lieto fine occidentale.
La governante della casa, che offre diversi momenti comici, è però la tipica rappresentante della nostra (in)umanità: vede il “diverso” e lo vuole catturare, derattizzare; mossa da paure per ciò che ha la parvenza della minaccia e investita di un’aridità cerebrale contagiosa, per “proteggere” il proprio regno (o la città, il quartiere, la casa, o una regione che non esiste) si affida alla disinfestazione, non accorgendosi che loro (noi) per primi infettano e insozzano la natura che (ci) ospita.
Comunque, la serie di argomenti, essenziali, non è “pesante” o eccessivamente retorica o didascalica; ben si coniuga, con grazia, all’incanto estetico che lo schermo regala.
Bella e adatta, infine, “magica” la colonna sonora, a cura della musicista e cantante franco-bretone Cécile Corbel: echi antichi d’un’avvolgente, arpeggiante, carezzevole favolosità.




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