Regia di Matt Reeves vedi scheda film
Remake del recente buon film svedese di Alfredson "Lasciami entrare", tratto a sua volta dall'omonimo romanzo dell'interessante scrittore John A. Lindqvist (che non ho letto ma di cui ho piuttosto apprezzato il successivo "L'estate dei morti viventi"), questo Blood Story e' diretto in modo convincente dal regista di Cloverfield, Matt Reeves. Rispetto all'originale perde a mio avviso certamente in ambientazione: l'atmosfera rarefatta ed inquietante scandinava rendeva meglio come contorno delle innevate pinete del New Mexico, ed era se non altro piu' originale come location. Ma in compenso questo film ci guadagna in ambientazione temporale (siamo nel 1983, piena epoca reaganiana) e soprattutto nella resa dei fantastici attori che ricoprono i ruoli principali.
Come gia' successo nella trilogia tratta da Stieg Larrson, interpretata da attori dalla fissita' marmorea (a parte la brava Noomi Rapace, naturalmente) - oltre che' diretti da registi inadeguati - gli interpreti dell'originale svedese non mi hanno colpito particolarmente. In questo bel remake invece sia il protagonista (un Kodi Smit-Mc Phee con lo sguardo smarrito di un cerbiatto, gia' apprezzato in The road e molto somigliante all'indimenticabile Lukas Haas di Witness-Il testimone ), sia la sua amica vampira Chloe Moretz (fantastica anche come bambina politicamente scorretta ed audace e sboccata baby eroina nell'esilarante Kick-Ass) sono davvero fantastici nel rendere da una parte il disagio e l'insicurezza degli anni dell'adolescenza, tra problemi familiari, timidezza e disagi caratteriali, sia dall'altra il senso di colpa per una dipendenza irresistibile che spinge alle conseguenze piu' estreme e orribili. E poi due raffinati sensibili interpreti come Richard Jenkins nei panni del fratello (invecchiato) della vampira-bambina, che per amor suo si macchia di efferati omicidi, ed Elias Koteas, attore feticcio di Egoyan, qui nel ruolo dell'ispettore di polizia che non si arrende, se non alla fine.
E poi su tutto anche qui, come nell'originale, rimane la regola mai ammessa ma cosi' vera che per poter andare avanti e superare le angherie dei piu' prepotenti bisogna colpire piu' duro dei propri carnefici. In questo senso la carneficina finale nella piscina comunale e' certamente una dichiarazione non solo di riconoscenza, bensi' d'amore, tra una vecchia bambina e un giovane uomo ormai cresciuto.
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