Regia di Nigel Cole vedi scheda film
Peccato. Peccato che una controversia di importanza epocale sui diritti del lavoro e sulla parità tra uomini e donne venga trasformata in una commedia agrodolce che tanto somiglia a un polpettone. Eppure Nigel Cole, avvezzo a trattare temi ponderosi con sguardo leggero - come aveva già fatto ne L'erba di Grace - avrebbe avuto tutta la materia prima a disposizione per fare, di quei giorni di lotta operaia del 1968, un film memorabile. Ken Loach ci sarebbe riuscito; Cole invece parte dalla vicenda di una di quelle operaie impiegate presso uno stabilimento inglese della Ford, alloggiata con le altre in una fabbrica-pollaio dove si cuciono i rivestimenti per i sedili delle auto, per raccontarci l'irresistibile ascesa di un gruppo di lavoratrici semplici ma determinatissime e compatte, che a suon di scioperi arrivarono a dettare al ministro del lavoro britannico (una donna) le condizioni di quella che nel giro di due anni sarebbe diventata una legge che avrebbe fatto da volano per il resto del continente. D'altronde siamo o non siamo nella patria della suffragette? Ammiccante fin dal titolo, specchietto per le allodole che nel film trova una spiegazione in uno striscione beffardo (a We want sex manca "equality"), il film è tutto una carineria, una lacrimuccia, un disseminare indizi stereotipati, ancorché sacrosanti, sull'arretratezza di una società ancora profondamente sessista.
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