Regia di Valerio Jalongo vedi scheda film
Forse non è mai neppure cominciata. La scuola, s’intende. Almeno per questa ultima generazione. Alla quale non è stato insegnato ad imparare. La prima cosa da apprendere è l’esistenza dell’ignoto. Prendere atto del confine che separa il territorio della nostra percezione da quello, sterminato, che si estende al di là del nostro limitato, e relativissimo, orizzonte. Oltre il quale si trovano, ad esempio, coloro che ne sanno più di noi, ed hanno tutto il diritto di essere ascoltati, soprattutto per il nostro bene. Non è la solita sentenza moralista, in contrasto con la realtà dei tempi; è l’enunciazione di un criterio logico, secondo il quale non è concepibile una società senza una precisa definizione dei ruoli. Educatori ed allievi, luoghi di studio e spazi privati: una mancata distinzione tra questi termini porta ad una confusione strutturale in cui anche l’individualità si perde per assenza di riferimenti. Daniele Donadei, alunno di un istituto tecnico situato alla periferia di Roma, è il classico ragazzo difficile, svogliato e ribelle. Ma nulla, nell’ambiente circostante, può aiutarlo a rimettersi in carreggiata, impegnandosi nel raggiungimento di qualche obiettivo. Il suo no generale, rivolto contro tutto e contro tutti, compreso se stesso, è più che mai motivato da un’atmosfera di degrado in cui il lasciarsi andare è il principio a cui l’universo intero sembra ispirarsi, a cominciare dall’edificio scolastico, con quei suoi muri cadenti, bucati, imbrattati di scritte e disegni. L’approssimazione e la rilassatezza sono un oceano triste e informe, nel quale gli insegnanti navigano a vista, venendo fraintesi, e commettendo qualche errore. Sono i solitari conducenti di una carrozzone che sbanda a causa della turbolenza dei passeggeri, e che nessuno, dall’esterno, interviene a raddrizzare. Famiglie ed istituzioni partecipano a questa universale sbornia di impotenza, abbandonandosi all’azione disgregante di un mondo in cui non si capisce nulla, e nel quale, per tirarsi su, ci si può solo sforzare di sognare, almeno un po’. Aldo Talarico, il professore di lettere, ci prova con la musica rock e qualche sostanza proibita. E sbaglia, credendo che gli strumenti della sua personale fuga dalla frustrazione possano essere la salvezza di un sedicenne privo di stimoli e di motivazioni. Ma sbaglia anche Daria Quarenghi, che a quel ragazzo riserva attenzioni particolari, dedicandogli ore di lezione supplementari, al di fuori dei programmi scolastici, e di propria iniziativa. Non c’è nulla di istruttivo nel convincersi di costituire un’eccezione. Di possedere una diversità che, automaticamente, assicura il comodo beneficio dell’indulgenza. Il film di Valerio Jalongo segue Daniele – che, chissà perché, si fa chiamare Alex – nel suo barcollante cammino attraverso un caos senza rimedio, in cui ognuno guarda alla realtà dall’interno, e da una prospettiva strettamente individuale, senza mai vedersi dal di fuori, per giudicare il proprio comportamento rispetto all’organizzazione dell’insieme. I rapporti “umani”, dettati dalla spontaneità del singolo momento, governano un viaggio senza meta che crea inutili aspettative, per poi deluderle senza un’apparente ragione. Intorno a questo percorso, a tratti ispirato, a tratti puramente casuale, la storia procede incerta e incoerente. Nell’indecisione sugli aspetti a cui dare maggiore importanza, la sceneggiatura si sofferma, pigramente, sui risvolti più spettacolari, quelli in grado di catturare anche l’attenzione degli osservatori più distratti. D’altronde siamo noi, forse, il pubblico di liceali irrequieti, costretti, loro malgrado, a stare seduti in aula ad assistere ad uno show per il quale non provano alcun interesse. Questo film ci presenta, per l’ennesima volta, una verità sgradita che riteniamo di conoscere fin troppo bene. Bene o male, ci aiuta a vederla meglio, sfocata e confusa com’è. Magari può risultare persino assurda ed eccessiva, ma questo – neanche a dirlo – è, di nuovo, la solita questione di punti di vista.
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