Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Il duca di York, secondogenito di re Giorgio V, è tormentato dalla balbuzie al punto da non riuscire a parlare in pubblico: quando sale sul trono in seguito all’abdicazione del fratello maggiore Edoardo VIII, il suo problema personale diventa un problema di stato e deve essere risolto da un logopedista. Il film tira fuori una piccola storia nascosta fra le pieghe della Storia; al di là dell’andamento narrativo un po’ convenzionale, che ricorda certi film sportivi in stile Rocky (prima l’allenamento sotto un guru, infine la partita decisiva), la vicenda umana è toccante e la messa in scena è coinvolgente. Il futuro Giorgio VI soffre di un complesso di inferiorità nei confronti del fratello più brillante, si sente inadeguato al ruolo che è stato chiamato a ricoprire per caso, viene addirittura spossessato della propria identità (il nome Albert era “troppo tedesco”), deve misurarsi direttamente con l’abilità oratoria di Hitler (“Papà, che cosa dice?” “Non lo so, ma sembra che lo dica piuttosto bene”), ma nel momento decisivo trova la forza per superare le difficoltà e vincere. Non manca un’attenzione al contesto sociale, in cui la radio modella la nuova immagine del potere e la guerra si combatte anche sul fronte della propaganda. Firth impacciato ma con il cuore, Rush cialtrone di genio, la Bonham Carter amorevole e dotata di senso pratico. Un film molto british, ma capace di appassionare anche noi repubblicani: simile in ciò a The queen di Frears.
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