Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Molti potrebbe pensare che il film sia stato scritto da qualcuno dei giornalisti che per mesi hanno tempestato il Presidente con le dieci domande. Ma da sempre (Machiavelli docet, oggi più che mai!) ci si chiede del perché si governa, come è possibile che uomini ‘difettosi’ e ‘difettati’ siano al potere, come governano? Ma è proprio vero che governano? Accade, quindi, che Il discorso del re, magnifico, diciamolo subito, arrivi in un momento abbastanza importante, sebbene difficile, per molti paesi del Mediterraneo europeo. E fa incetta di nomination, 14 ai Bafta e 12 candidature agli Academy Awards, agli Oscar 2011.
La storia è ambientata nel periodo successivo alla morte di Re Giorgio V e la scandalosa abdicazione di re Eduardo VIII, quando Bertie, da una vita sofferente per una forma debilitante di balbuzie, é improvvisamente incoronato re. Giorgio VI d'Inghilterra. Il suo paese è prossimo alla guerra, la seconda guerra mondiale, e disperatamente bisognoso di un leader. La moglie del nuovo re, Elisabetta, la futura Regina Madre, organizza al marito un incontro con l'eccentrico logopedista Lionel Logue. Dopo un inizio burrascoso, i due si mettono alla ricerca di un tipo di trattamento non ortodosso, finendo col creare un legame indissolubile. Con l'aiuto di Logue, della sua famiglia, del suo governo e di Winston Churchill, il re riuscirà a superare la sua balbuzie e farà un discorso alla radio, che ispirerà il suo popolo e lo unirà in battaglia.
Una commedia molto inglese, soprattutto per il perfetto equilibrio tra l’humour, il dramma e l’apparente leggerezza. Capace di far emozionare e ridere. Un’emozione dettata soprattutto dall’empatia, non solo nei confronti del nuovo re, ma della storia. Perché il regista Tom Hooper, pur addentrandosi nel dramma personale di re Giorgio VI, non abbandona mai la Storia. Il regista inglese aveva già dato prova di sé, in rapporto alla Storia, in Elizabeth I (2005), in John Adams (2008), una mini-serie tv di nove ore, raccontando la storia della Rivoluzione americana, attraverso gli occhi del secondo presidente degli Stati Uniti. Questa volta, invece, la sua attenzione è puntata verso il vecchio continente, attratto dagli interstizi tra la sfera pubblica e quella privata. Mai, come in questo momento, anche nel nostro paese, confuse. Hopper ‘riprende’ il potere da distanze ravvicinate, perciò tutto appare meno scintillante e più realisticamente rappresentazione mediatica. Eppure Il discorso del re è un film magnificamente solenne. Austero nella visione e sfarzoso nella rappresentazione. Dall’inizio alla fine, elegante. Con un impatto narrativo solidissimo. Claustrofobico ed ampio negli spazi. Che si fanno spesso umani, perché incarnati nell’animo di uomini e donne, che nella Storia hanno lasciato tracce. Merito di giganti del cinema mondiale: a partire da Colin Firth, che reinterpreta, rileggendolo e incarnandolo, Bernie, trasmettendo a chi guarda ogni dubbio e difficoltà nell’espressione. Anche Geoffrey Rush, nei panni dell’amico logopedista, è perfetto nel dosare i toni e i tempi. Tutti gli altri attori sono bravissimi, perché Il discorso del Re è un film di attori, soprattutto. Ma Hopper non dimentica affatto chi è dall’altra parte dello schermo. Ad ognuno con la propria voce, ricorda che essa, nella sua unicità, va usata, per gridare anche lo squallore nel quale ci si può ritrovare. In quanto governati.
Giancarlo Visitilli
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