Regia di Scott Willis vedi scheda film
Francesca Woodman (1958-1981) è stata uno straordinario, precocissimo talento della fotografia. Morta suicida all’età di 22 anni, ha lasciato in eredità numerosi scatti autobiografici, di incredibile intensità, e in notevole anticipo sui tempi. Nel 2007 viene allestita, a New York, la prima mostra a lei dedicata, che attira subito l’attenzione del pubblico e della critica. La sua opera ottiene finalmente un riconoscimento ufficiale, postumo ed estremamente tardivo, che conferma la lungimiranza e l’universalità del suo linguaggio visivo, caratterizzato da una drammaticità ermetica ed autoreferenziale, però esteticamente accattivante, visivamente suggestiva, liricamente provocatoria. A rievocare la sua storia, in questo documentario, sono chiamati i suoi genitori, Betty e George, una ceramista ed un pittore astrattista: Francesca è figlia d’arte, ma non prenderà mai in mano il pennello. All’età di tredici anni impugna invece, per caso, una macchina fotografica, e da quel momento non smette mai di immortalare la propria immagine, sottoforma di autoritratti in bianco e nero, intrisi della malinconia di vedersi fuori posto in un mondo il cui movimento non segue le dinamiche del suo cuore. Francesca è un corpo nudo che non riesce a fondersi con le geometrie dell’ambiente, e per questo si contorce, cerca di fuggire, e a volte si nasconde. La disarmonia espressa dal suo obiettivo è la stessa che si legge nelle sue numerose pagine di diario, in cui Francesca riversa le angosce ed i pensieri che non può comunicare ai suoi simili, nemmeno alle persone che le sono affettivamente più vicine. I suoi scatti catturano i passi di danza di una irrimediabile solitudine, che si traduce in una surrealistica e dissonante coreografia del disagio interiore. Il film di Scott Willis pone l’accento sulla ribellione espressa da quelle inquadrature, refrattarie tanto alla ricerca dell’armonia quanto alla condiscendenza con i vigenti canoni dell’apparire. Il suo protagonismo è la manifestazione di un’energia che, non prevenendo mai ad un punto di equilibrio, deve continuare a riversarsi nella realtà, spostando incessantemente l’angolazione del tiro. Di fronte a questa tragica vicenda di genio e sregolatezza, un biopic ordinario avrebbe forse tracciato il classico percorso di un’infelicità giovanile naufragata nella psicosi; qui, invece, l’esistenza di Francesca è descritta come un processo creativo breve ma insistente, segnato da una volontà fermamente decisa ad esprimersi, anche a costo di stonare e di ripetersi. The Woodmans è un documentario confezionato secondo la classica formula dell’inchiesta televisiva, che alterna interviste, citazioni e commenti della voce narrante; però la parola è usata in maniera non convenzionale, per circoscrivere l’idea sfuggente di un pensiero adolescenziale che non arriva a farsi racconto, e quindi sfuma in un canto le cui note sono soggetti fuori fuoco, prospettive oblique e tagliate, pose asimmetriche ed inquiete. Sento che la mia arte parla di me stessa, per un sacco di motivi sbagliati.
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