Regia di Shin-woo Park vedi scheda film
http://www.youtube.com/watch?v=eVTCzTpsce8
Corea del Sud, 2009. L’ispettore Dong-soo Han (Suk-kiu Han) ha fatto i capelli bianchi ma non riesce a dimenticare un’indagine che quattordici anni prima lo aveva impegnato con tutte le sue forze. Riprende il caso tra le mani: uno strozzino ucciso in un quartiere malfamato, un testimone eliminato l’anno dopo. Molte ossessioni lo spingono a riaprire il caso: un’audiocassetta con l’ouverture del Lago dei cigni di ?ajkovskij che costituiva l’alibi dell’assassino, la morte del proprio figlio, – un ragazzino che il detective aveva impegnato, facendolo scendere in un antro profondo per trovare delle prove, – la carriera fulminante di una ragazzina, Mi-ho Yu (Son Jey-jin) che, diventata una donna di grande fascino, sta per sposare un ricco manager.
Il film inizia con l’assassinio dello strozzino, intento a fare sesso con una donna (adulta, bambina?, non si capisce – il regista spalma tutta una serie di ostacoli per fuorviare lo spettatore). La scena è molto forte: un bambino guarda dalla soglia della camera i due corpi avvinghiati.
Comincia subito a delinearsi lo stile di un regista che vuole confondere le carte: montaggio parallelo tra passato e presente, flashback a manetta, divagazioni ellittiche, l’apparizione di un giovane uomo che percorre tutto il film, correndo a perdifiato, stando in contemplazione, sbarrando gli occhi, piangendo.
La tendenza a gonfiare l’opera con soventi ricorsi retorici climax-anticlimax non riesce a distrarre l’attenzione dal deja-vu, né la superfetazione di ‘scene madri’ a convincerci che questo mèlo-thriller possa attingere alla grandezza di The Killer di John Woo o all’esemplare The Chaser di Hong-jin Na di solo un anno prima.
Lo spettatore capisce subito che la frammentazione del plot in particole non trae in inganno, di thriller così involuti ne ha visti molti e non sarà l’esordiente Shin-woo Park a sorprenderlo con i giochi di prestigio.
Il finale, concitato quanto basta per avvincere, porta alla luce la soluzione di un enigma torbido, già leggibile nel primo quarto d’ora del film.
Non resta che stare al gioco e approfittare del buono che il regista lascia intravvedere.
A conti fatti, gli interpreti sono bravi, il lago dei cigni accompagna tutto il film, Yeong-wook Yo regala valzer stupendi come in Old Boy: Byakuyako (White Night) dispone alla curiosità.
Anche la sceneggiatura, tratta da un romanzo di Keigo Higashino, è sopra le righe: i personaggi hanno tutti una frase in bocca da collezionare – vedi nel finale il ragazzo che prima di suicidarsi, spara: “Quando il sole splende, spariscono le ombre”.
Queste poche considerazioni dovrebbero indurmi a un giudizio di sufficienza, ma mi frena la sensazione che questo Park Shin-woo abbia buone doti da spendere.
E poi, perché negare che il film mi è piaciuto?
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