Regia di David O. Russell vedi scheda film
Non è la prima volta, lo so bene, ma è capitato di nuovo. E mi auguro che accada sempre più spesso. Che io veda un film di cui m'innamoro al punto tale di vederlo due o anche tre volte. In fondo niente di speciale, ma un drammone di sentimenti di quelli che ti spaccano il cuore come solo gli americani sanno fare. Bella storia, anche commovente, realmente accaduta, che vede protagonisti due giovani fratelli, entrambi cultori del pugilato fin da piccoli, e le cui vite sono profondamente condizionate da questa passione sportiva. In questo film dove tutto è perfetto, ogni cosa concorre a delineare uno sfondo irresistibilmente malinconico, questa cittadina di Lowell, un tempo culla dell'industria tessile americana, ma poi colpita da una crisi che l'ha resa un triste luogo di abbandono e disoccupazione, in cui si muove un'umanità di perdenti alla ricerca di qualsiasi attività permetta loro di sbarcare il lunario. Le emozioni di quella gente modesta ti vengono addosso, ti penetrano, ti inducono a famigliarizzare umanamente con quella comunità di persone...al punto che (personalmente) ho percepito quasi la sensazione di esserci anch'io su quel set. Sono presenti certi ritratti di persone, anche ruoli marginali, che sono davvero indimenticabili. Basti pensare al ruolo della madre dei due pugili, e di suo marito, due personaggi che una splendida sceneggiatura riesce a rappresentare in modo sublime, come se alla fine ti sembrasse quasi di averli conosciuti veramente. E questo al cinema succede solo quando gli sceneggiatori lavorano davvero con passione. Nella cittadina di Lowell (Massachusetts) crescono due fratelli (in realtà fratellastri ma molto legati), entrambi dediti alla passione per il pugilato fin da bambini. La loro è una famiglia numerosissima (nata dalla somma di due famiglie), in cui figurano ben 9 sorelle. Micky combatte saltuariamente i suoi matches parallelamente al suo vero lavoro di operaio, ma resta nell'ombra del fratello Dicky che è il vero "campione di famiglia", la cui promettente carriera subisce però un brusco arresto a causa della sua tremenda dipendenza dal crack che gli spappola il cervello. Allora si riduce ad allenare il "fratellino" che così si avvia (tra pochi alti molti bassi) ad un proprio percorso sportivo professionale. La madre (personaggio tutto da gustare, una mommy sopra le righe!) fa da manager a Micky, anche se in realtà gli procura solo incontri sfigati che lo vedono perdente. Poi succedono un pò di cose. Succede che Micky s'innamora di una bella barista, la quale (come spesso poi accade nella realtà di noi maschi quando facciamo l'incontro giusto) gli cambia la vita, e col suo buon senso gli insegna a guardarsi intorno con più consapevolezza. E lo mette di fronte ad una realtà che una madre-padrona ossessiva gli aveva sempre impedito di vedere. Nel frattempo Dicky finisce in carcere per un oscuro episodio di violenza, e questa reclusione se non altro lo aiuta a "ripulirsi" dall'assuefazione al crack. Quando Dicky esce dalla prigione trova dunque un fratello molto cambiato. Viene così allo scoperto tra i due un conflitto che in realtà covava da tempo sotto la superficie e che ora esplode con rabbia. Ma questo durissimo contrasto si rivela salutare, perchè realizza un corto circuito che alla fine rinsalda ed esalta il vincolo morale ed umano tra quei due fratelli. Un legame fondamentale, soprattutto in vista di un match decisivo per la carriera di Micky. La passione che Dicky inculca al fratello si rivela determinante nel confronto finale con l'avversario sul ring. Tutto si gioca in quest'incontro finale, tirato allo spasimo. Talmente appassionante che ha indotto a tifare con trasporto perfino il sottoscritto che non ama per niente questo sport. Ecco, questa grosso modo la vicenda. Ma adesso viene il difficile, perchè se devo riportare sequenze ed immagini che mi hanno esaltato, davvero non so da dove cominciare. All'inizio c'è una sequenza girata in modo favoloso, in cui i due fratelli vanno a spasso per la città, soffermandosi sulle soglie di case e di bar scambiando battute con amici e conoscenti: roba da capolavoro. Poi le tristi sequenze in cui Dicky e i suoi sventurati amici si ritrovano nella loro "tana" a fumare crack, e che si concludono puntualmente con lui che, poveraccio, si lascia cadere dalla finestra. Mi vengono i brividi, poi, evocando una scena breve ma memorabile (soprattutto per l'utilizzo delle luci): pochi attimi prima del match conclusivo, assistiamo ad un'ultima breve fase d'allenamento in cui i due fratelli boxano con accanimento, con le loro immagini oscurate, visibili solo nelle rispettive sagome...talmente suggestivo da bloccare il respiro. E proprio mentre scorrono i titoli di coda, una sorpresa finale che strappa il sorriso: vediamo cioè i VERI Dicky e Micky, coi loro volti autentici, intenti a scherzare spiritosamente con la troupe del film. "Salve, gente di Hollywood!". E a quel punto quasi ti vien voglia di abbracciarli. O di invitarli al bar per offrir loro una birretta. C'è poi una segnalazione importante dalla quale non ci si può esimere: produttore esecutivo della pellicola è quello che, per molti versi, è un pò "il cineasta del momento", Darren Aronofsky. Avvertenza per gli appassionati di musica: la colonna sonora è epica: Breeders, Atlanta Rhytm Section, Hall & Oates, Whitesnake, Bee Gees, Led Zeppelin, Red Hot Chilly Peppers, Traffic, Aerosmith, Dropkick Murphys, Mahones, Rolling Stones, Ben Harper...(scusate se è poco!). E per ultimo mi sono tenuto un cast per il quale il mio vocabolario non conosce parole adeguate per elogiarlo. Ma ci proverò. Mark Wahlberg. Un attore che ormai abbiamo imparato a conoscere. Nel bene e nel male. Non si può dire che Mark sia un mostro di espressività, ma su un punto bisogna essere molto chiari. Wahlberg è un tizio che, coi ruoli giusti e coi registi giusti, può fare miracoli: per dire, io non scorderò mai più finchè campo il suo padre affranto in "Amabili resti" di Peter Jackson. Christian Bale si è beccato un Oscar, ma io gliene avrei dati una decina, di Oscar. Qua mette in scena un personaggio che lascia a bocca aperta lo spettatore. Quest'uomo ha dentro un fuoco d'attore che lo divora e ne fa una specie di meraviglioso alieno. La sua è -senza SE e senza MA- una performance epocale. E se a qualcuno saltasse mai in mente di tacciarlo di "gigioneria", costui stia molto lontano da me, che potrei anche fargli del male con queste mani (si fa per dire). Amy Adams: la adoro!! La conobbi (ahimè solo virtualmente) in "Come d'incanto" una fiaba natalizia della Disney in cui lei interpretava una graziosa fatina. Da allora, ha intrapreso un cammino artistico sempre più maturo e impegnativo. E poi, lasciatemelo dire da maschietto, vederla in reggiseno e mutandine nere, beh, assesta una scossa ormonale non indifferente. Melissa Leo è una madre straordinaria: è uno spettacolo nel suo calcare la mano su quei dettagli estetici da shampista attempata, da popolana casinista e verace, questa ultra50enne in minigonna o pantaloni attillatissimi. E infine due attori (e due persone) che avrei voluto essere su quel set per poterli abbracciare: Jack McGee che impersona magnificamente George, il padre dei due pugili, e il grandioso Mickey O'Keefe, il poliziotto in pensione che allena boxeur, il quale (addirittura!) recita nella parte di sè stesso. Film magnifico e commovente. Finalmente il piacere di andare al cinema.
Voto: 10
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