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The Fighter

Regia di David O. Russell vedi scheda film

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La recensione su The Fighter

di giancarlo visitilli
8 stelle

E’ ispirato ad una storia vera, il commovente ritorno degli improbabili eroi della box, Micky Ward e Dicky Eklund. Due fratelli che devono affrontarsi come avversari: condizione necessaria per potersi riunire in combattimento e vincere. Per rafforzare i legami familiari. Con la verità di fondo che “certe volte, se vuoi vincere, devi essere quello che non sei”.

La storia inizia con Dicky, un uomo che è l’orgoglio della piccola cittadina. Nel frattempo, suo fratello Micky è diventato a sua volta un puglie, la sua carriera è appena agli esordi ed è gestita dalla madre. Nonostante il suo impressionante gancio sinistro, Micky continua a perdere sul ring. L'ultimo combattimento affrontato da Micky finisce quasi per ammazzarlo. E’ persuaso dalla sua ragazza, Charlene, a tentare qualcosa di estremo: dividersi dalla sua famiglia, perseguire i suoi interessi e allenarsi senza l’inquieto fratello. Fino a che, a Micky non viene offerta l'opportunità di una vita: combattere per il titolo. Imbattendosi in quest’avventura, però, Micky capisce che avrà bisogno di suo fratello e di tutta la sua famiglia per poter vincere. Sfidando tutti i pessimisti, Micky cercherà di redimersi e di riportare al suo angolo del ring Dicky, Charlene, Alice e l'intera famiglia Ward/Eklund.

Non è casuale se fra i produttori del film figuri il regista del bellissimo The wrestler (2008), Darren Aronofsky, che in fatto di pugni-sangue-lacrime-redenzione, e non solo, si è mostrato un grande maestro. Tra sconfitte e desiderio di vittoria, il film di David O. Russell, che mostra durante i titoli di coda i veri Micky Ward e Dicky Enklund, non é soltanto il racconto del difficile cammino verso il successo su un ring. E’ soprattutto Storia, con la esse maiuscola: di persone, corpi, fratelli, che scazzottano l’amore, prendono a calci la famiglia, ma capaci di mettere al tappeto qualsiasi avversità. Per la (ri)conquista proprio di queste. In fondo, i trofei della vittoria sono proprio la riconquistata fratellanza, una famiglia creduta ormai perduta e la stima di sé stessi.

Quella che scorre davanti ai nostri occhi, per due ore circa, è una visone piuttosto classica, dal punto di vista registico, con rimandi al Robert Wise di Lassù qualcuno mi ama (1956), a quel capolavoro di Martin Scorse, Toro scatenato (1980), che ha segnato la storia del cinema sul ring. Si tratta di  ore di visione che non deludono. Grazie anche all’ottima prova del cast: eccelle Christian Bale (Batman begins), che concede anima e sottrae corpo al suo Dicky; sorprendente anche Melissa Leo, la madre. Ma degno di nota è lo straordinario montaggio di Pamela Martin, non a caso nominata all’Oscar, che riesce con il suo lavoro a ‘montare’ la crescente esaltazione, specie nella sequenza del combattimento finale, in cui è difficile non fare il pugno con la propria mano, evitando almeno di alzarlo in sala, per non disturbare lo spettatore che ti sta dietro.

David Russell riscrittura in negativo la boxe, al modo più di Scorsese, che non a quell’altro modo, ipocritamente edificante, alla Rocky. La strategia è l’adozione di un paesaggio urbano che non è mai lontano dalle vite di qualsiasi combattente. Fa da giusto sfondo. Tant’è che lo stesso alternarsi del campo e controcampo, qui, è piuttosto un’assenza di cambiamento di vite, sia da parte di Michy, che di Dicky, che incarnano la sconfitta irreparabile. Tutti vincitori, ma restanti sempre e comunque dalla parte dei vinti.

Giancarlo Visitilli

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