Regia di David O. Russell vedi scheda film
In “The Fighter” le artefatte sequenza sul ring intrappolano subdolamente lo spettatore in una sorta di ansia catartica: Micky Ward, fisico ammaccato da sconfitte e triboli, viene massacrato dai pugni di avversari molto più forti di lui, sembra finire al tappeto, poi all’improvviso, questione di un istante, si rialza e, quando nessuno se lo aspetta più, strappa una clamorosa vittoria. Sia tale artificio buon cinema o al contrario dozzinale spettacolo, certamente il regista Russel e lo sceneggiatore Silver, traducendo per lo schermo la storia vera di due fratellastri pugili del Massachussets, ricavano il principale elemento per il ricatto emotivo nel ribaltamento dello schema tragico classico in base al quale l’eroe prima conquista allori poi precipita nell’abisso: il loro campione nasce perdente e sale sul podio, dopo essersi salvato dal baratro dei vinti.
Niente di nuovo del resto: la boxe è visione di corpi in convulso movimento secondo una strategia e non stupisce che il cinema lo abbia scelto come arte privilegiata per i suoi idoli in cerca di riscatto. Sangue e pugni nell’arena evidenziano la vocazione popolaresca e antintellettualistica della settima arte e bisogna intendere quindi come una rozza dichiarazione di poetica il sonno di Micky nella sala dove proiettano “Belle Epoque” di Trueba con i sottotitoli.
In “The Fighter” l’elemento di scarto rispetto alla tradizione è però rappresentato dal rapporto conflittuale fra i due fratellastri, complicato dalla presenza ingombrante di una madre parziale che tiranneggia coadiuvata da un coro aggressivo di sette sorelle: Dicky, il più vecchio, e Micky portano entrambi su un volto senza età i segni delle ossessioni di un passato di gloria che non può più ripresentarsi uguale. Il primo, adorato dalla madre, un tempo celebre sul ring, alternando momenti di euforia e depressione, insegue nei deliri del crack i propri personali fantasmi, non è più in grado di combattere, allena e sfrutta, complice la famiglia, il talento del fratello, questi obbedisce mettendo a tacere per amore i propri dubbi e soffre anche quando con l’aiuto della ragazza( Amy Adams) e del padre riesce a diventare autonomo. La vera lotta dunque per emergere non è contro un contesto sociale ostile, qui relegato sullo sfondo di una strada da riasfaltare di un città industriale in decadenza, bensì contro il groviglio di vipere assiepato nel tinello di casa. Il nido muliebre in abiti trash sprizzante veleno scolpisce i tratti del viso afflitto della vittima sacrificale Micky, lo invecchia precocemente e lascia intatta la beata euforia tossica dell’irresponsabile Dicky: il cappio stringe fino a quando l’inaspettata rimozione degli odi individuali accorda gli strumenti e la partitura edificante si sovrappone al caotico frastuono della stanza affollata. A testimoniare che l’unione fa la forza intervengono sui titoli di coda i veri protagonisti della vicenda, invecchiati e sorridenti. Fortunato chi dalla propria vita trae una morale da immortalare nella foto ricordo! Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it
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