Regia di Mick Jackson vedi scheda film
Una porta si è aperta ed io ci sono passata attraverso. Sì, è così, ed io l'ho tenuta aperta. Sono Temple Grandin.
RIFLESSIONI
a) Bartleby
Se Bartleby fosse affetto da autismo, tutte le interpretazioni sul “preferirei di no” perderebbero d’un tratto il loro fascino, Herman Melville non adombrerebbe nello scrivano l’insuccesso letterario, cadrebbe l’ipotesi che quel diniego (recitato come un mantra) possa rappresentare la risposta al pragmatismo americano o la chiusura egotica nell’autoisolamento. Quante interpretazioni si sono succedute nel tempo: Gianni Celati ne riassume circa novanta nella postfazione all’edizione Feltrinelli del 1991. Nessuna più convincente di altre. Pochi testi letterari sono stati posti sotto la lente dei critici come Bartleby lo scrivano, nomi come Lewis Mumford, Alfred Kazin, Richard Chase, Joyce Carol Oates, Ruggero Bianchi, Guido Fink – tanto per citarne alcuni – si sono cimentati in interpretazioni tutte ugualmente plausibili. E se avesse ragione Dan Mac Call che bolla come “i vari deliri o idee fisse su cui è basata la ‘Bartleby Industry’, cioè la produzione a ritmo industriale di articoli accademici sul nostro racconto.”?
Spiegare l’inspiegabile è l’esercizio inesausto della critica che non si arrende alla “patience de Bartleby”, come scrive Georges Perec.
Bisogna aspettare la pubblicazione di Bartleby, La forma della creazione, un saggio che è critica che diventa letteratura (al pari dei saggi letterari di Walter Benjamin) di Gilles Deleuze e Giorgio Agamben (Ediz. Quodlibet, 1993), per leggere (come è scritto in quarta di copertina) nel “preferirei di no” “la formula della potenza pura, l’algoritmo di un esperimento in cui il Possibile si emancipa da ogni ragione”.
Una frase che gli ‘interpretatori’ a cottimo di David Lynch dovrebbero imparare a memoria, inchinandosi di fronte all’Inspiegabile.
Mi arrendo all’Inspiegabile: Bartleby non è autistico, nonostante l’ufficio in cui lavora, dal quale non vuole staccarsi, somigli alla “macchina dell’affetto” costruita da Temple Grandin per recuperare, tra le stecche di legno, l’abraccio cui si nega agli altri e che la madre le avrebbe negato.
Questo è l’unico filo che unisce Bartleby al mondo degli autisti, per il resto lo scrivano non ha doti musicali, matematiche che lo somiglino a quelli, non dondola la testa, non si agita in un rondò convulso del corpo – Bartleby è l’Immobilità di Beckett.
b) Teorie, saggi, romanzi, film sull’autismo
Forse c’è un altro filo – riguarda le teorie che hanno agitato il campo della ricerca della psicanalisi e delle neuroscienze sempre in opposizione tra di loro. Certamente, dai tempi in cui Ippocrate prescriveva a chi era depresso e ‘non sentiva la testa sul collo’ di calarsi sul cranio un elmo di parecchi chili, oggi la comprensione dell’autismo ha raggiunto risultati miracolosi, grazie anche ai pazienti che ne sono affetti i quali sono riusciti a dare voce e corpo alla loro peculiar life.
Evito di soffermarmi sugli esiti scientifici di teorie e cure per l’integrazione nella comunità di queste persone (chiamarli ‘pazienti’ è oltraggioso), non ne ho la competenza né è questo lo spazio abilitato alla misura del problema.
Chi sa già di che cosa parliamo, trarrà, spero, qualche porzione di consapevolezza; a chi non sa indico tra una bibliografia immensa il saggio La fortezza vuota - L'autismo infantile e la nascita del sédi Bruno Bettelheim (Garzanti, 1976 e ristampe) e, per quel che riguarda l’argomento della playlist, Temple Grandin, Pensare in immagini. E altre testimonianze della mia vita di autistica (Erickson, 2002) con l’avvertenza che il saggio del grande pedagogista viennese è stato oggetto di critiche radicali, soprattutto per l’impianto psicanalitico nella ricerca di un capro espiatorio nell’eziologia dell’autismo e per l’individuazione della madre frigorifero quale concausa della sindrome, tesi smontate da John Bowlby nei saggi ‘sulla teoria dell’attaccamento’ (editi da Boringhieri)
Tra i molti romanziva sgombrato il campo da alcuni titoli, pregevoli peraltro ma un po’ sensazionalistici come Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon (Einaudi, 2003), Il mondo, quello vero di Francisco Storck (Mondadori, 2009) e il bestseller La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (Mondadori, 2008), mentre, a buon diritto rientra nella letteratura seria il romanzo-saggio di Paul Collins, Né giusto né sbagliato - Avventure nell’autismo (Adelphi, 2004) che traccia la storia dell’autismo, partendo dal Ragazzo selvaggio per arrivare alle tesi di Hans Asperger (dal quale prende il nome una delle modalità della sindrome autistica) fino ai ricercatori di oggi.
Diversamente da come è avvenuto per altri disturbi mentali, il cinema ha spettacolarizzato l’autismo: Rain Man di Barry Levinson del 1988, Rosso d’autunno di Bruce Beresford del 1994, Mi chiamo Sam di Jessie Nelson del 2001 anche se sono dei buoni film, poggiano su grandi performance di interpreti come Sean Penn, Dustin Hoffman, poco curandosi di maneggiare con cura il problema; Rain Man ha anche l’aggravante di essere ispirato a Kim Peek, un genio matematico realmente esistito per essere preso altro che come un’operazione capziosa. Meglio il film di Hal Ashby, Oltre il giardino del 1979 (bellissimo il titolo originale Being There) che sfiora l’argomento ed è un capolavoro, First Person di Errol Morris del 2001, 24 minuti dedicati dal grande documentarista a Temple Grandin e Elle s’appelle Sabine del 2007 che Sandrine Bonnaire ha girato per amore della sorella autistica.
c) Chi è Temple Grandin
Ma chi è Temple Grandin che ho più volte citato, anche come autrice di un’autobiografia?
Perché il famoso neurologo autore di Risvegli (Adelphi, 1987) e dell’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello (Adelphi, 1986) le ha dedicato il saggio, Un antropologo su Marte (Adelphi, 1998)?
TEMPLE GRANDIN AS PERSON
Temple Grandin è una signora di sessantatré anni, affetta da sindrome di Asperger dall’età di due anni. Temple a quattro anni non parla, si agita, fissa la sua attenzione sugli oggetti. Grazie all’affetto della madre, riesce a parlare ma questo non basta a fare di lei una bambina normale. Il primo psichiatra che la visita emette una diagnosi infausta: Temple è autistica e l’unica cosa da fare è chiuderla in un istituto per sempre. La signora Grandin non è una sciocca, forte di una discreta cultura e di una laurea a Harvard, non segue i consigli dell’esperto ma convince la figlia a frequentare la scuola regolare. Temple non ha vita facile, i compagni di classe la deridono perché quella ragazzina distratta, mobilissima, capace di imparare a memoria un’intera pagina di testo dopo averla guardata per pochi secondi, sembra ai loro occhi una marziana (ecco la spiegazione del titolo del saggio di Sacks, Un antropologo su Marte). Temple ha una memoria visiva prodigiosa, lei vede il mondo attraverso i ‘segni’, di niente altro si cura se non di immaginare complicati ingranaggi leonardeschi. Per il resto è veloce come il mercurio, non sta mai ferma, si gira su se stessa come una trottola e non consente a nessuno di toccarla né lei osa toccare o solo avvicinarsi a qualcuno, compresa la madre.
Inviata a casa degli zii, Temple, affascinata dalle mucche che ha visto muoversi nel recinto di un’azienda, riesce a capire il linguaggio delle bestie destinate al macello. Non ha paura di accarezzarle, ha con esse un rapporto quasi mistico.
Sempre preda dell’assalto delle immagini degli oggetti, Temple meraviglia gli zii inventando un congegno meccanico per varcare il cancello della villa senza scendere dalla macchina. Ci ha pensato per qualche giorno, disegnando il progetto con velocissimi colpi di matita.
Due cose teme Temple: varcare le porte di qualsiasi ambiente ed essere toccata, sfiorata appena. Il bisogno di superare questi ostacoli senza cadere nel panico la spinge a risolvere il problema. Superare le porte, le ha detto la madre, è una necessità vitale, non c’è progresso se non si supera l’ostacolo.
Temple, come molti autistici, deve fissare il suo territorio: sulla porta della sua camera ha posto un foglio sul quale è scritto “Stanza di Temple”; un giorno in cui il vento ha buttato il foglio per terra, Temple diventa preda di una violenta crisi di panico che riesce a sedare grazie a un marchingegno in legno che lei stessa ha inventato e costruito, una “macchina per gli abbracci” (hug machine), simile alla gabbia di contenimento per le mucche in panico, utilizzata nell’azienda. Le mucche diventano mansuete dentro la gabbia e Temple capisce che uno strumento simile potrebbe calmare anche lei. Due assi di compensato che si stringono dolcemente ai lati di una panca simulano l’abbraccio che nessuno può offrirgli e al quale lei si nega. [vedi Temple Grandin con Catherine Johnson. La macchina degli abbracci. Parlare con gli animali (Adelphi, 2007)]
Negli anni che seguono Temple Grandin ‘attraversa le porte’, si laurea in psicologia al Franklin Pierce College nel 1970, in seguito, nel 1975, assecondando la sua passione per le mucche, si laurea in zootecnologia all’Università Statale dell’Arizona.
Il muggito di dolore delle bestie mandate al macello attraverso uno steccato rudimentale e crudele la spinge a brevettare, dopo un’odissea di fallimenti, una straordinaria ‘ferrovia circolare’ per avviare al macello gli animali senza procurare loro sofferenze inutili (“non capisco perché la gente sia crudele senza un motivo”).
Temple è oggi una professoressa all'Università Statale del Colorado. Tiene conferenze in tutto il mondo sull'autismo e la gestione degli animali. Nel Nord America, oltre la metà del bestiame è gestito con i sistemi da lei progettati.
TEMPLE GRANDIN ON MOVIE
Diretto dal regista Mick Jackson, veterano di serial televisivi e di una manciata di film non eccelsi (Pazzi a Beverly Hill, Guardia del corpo, Atto d’accusa, Vulcano, Laboratorio mortale), interpretato da Claire Denis (Temple Grandin), Julia Ormond (Eustacia, la madre), Catherine O’Hara (zia Ann), David Strathairn (Il professor Carlock) e da un folto stuolo di altri attori e caratteristi, sceneggiatura di Cristopher Monger e Merrit Johnson ispirata al libro Emergence della stessa Grandin e Margareth Scarciano e a Thinking in Pictures sempre della Grandin, - il film, prodotto dalla H.B.O, musica di Alex Wurman in stile Glass-Nyman, si smarca felicemente da qualsiasi sceneggiato di matrice televisiva. Non va dimenticato che illustri registi hanno diretto ottimi film per la H.B.O (basta ricordare La parola ai giuratidi William Friedkin). Che sia un regista di seconda linea a dirigere l’opera è una fortuna, non oso pensare che cosa sarebbe diventata nelle mani di direttori più blasonati che sui temi della diversità hanno dato prova di narcisismo autoriale in operazioni tronfie e leccatissime, accolte con grande favore dal pubblico e da molta critica (qui mi farò dei nemici: alludo a Will Hunting, Scoprendo Forrester del Van Sant mainstream e a A Beautiful Mind del sopravvalutatissimo Ron Howard e ai film sopra citati sull’autismo).
Mick Jackson ha lasciato ampia libertà agli interpreti, tenendo per sé un ruolo da dietro le quinte con una modestia che è l’arma segreta della perfetta riuscita dell’opera che, nonostante un plot antispettacolare, riesce a tenere avvinto lo spettatore per circa 120 minuti.
Gli interpreti principali sono straordinari ma Temple Grandin poggia tutto sulle gracili spalle di Claire Denis che ne sostiene il peso con una performance che definirei suprema, che lascia il segno, appassiona, commuove, fa amare il personaggio, la piccola grande Temple, i suoi slanci, le sue depressioni, la sua vivacità incontrollabile, gli scatti d’ira; il suo canto libero durante il discorso per la promozione, davanti ai professori, i parenti, gli studenti tutti, è uno iato da brivido al centro del film, le parole di You’ll Never Walk Alone di Rodgers & Hammerstein da Carousel risuonano a gola spiegata dalla voce della stessa Danes
When you walk through the storm
Hold your head up high
And don't be afraid of the dark
At the end of the storm
There's a golden sky
And the sweet silver song of the lark
Walk on, through the wind
Walk on, through the rain
Though your dreams be tossed and blown
Walk on, walk on, with hope in your heart
And you'll never walk alone
You'll never walk alone
Walk on, walk on, with hope in your heart
And you'll never walk alone
You'll never walk alone
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