Regia di Olias Barco vedi scheda film
Un film che per le tematiche che tratta avrebbe potuto caricare maggiormente sui dialoghi piuttosto che sui personaggi. La pima parte del film, drammatica ironica e grottesca, direi che è notevole, ci ambienta, in un vivido bianco e nero, nella clinica del dott. Kruger adibita al suicidio assistito.
Personaggi diversi, ma accomunati dalla delusione della propria esistenza, tentano una dipartita il più possibile confortevole, assumendo poche gocce di veleno, che dopo tre minuti li fa uscire dalla scena del mondo senza strazio.
Ma non tutti possono accedere a questa agognata fine. Prima devono passare dallo psichiatra Kruger, il cui scopo non è quello di assecondare a priori il desiderio di morte, ma di vedere quali sono le ragioni di tale desidero, per scorgere se vi sia ancora una possibilità, nel paziente cliente, di fare marcia indietro.
La clinica non è dunque attrezzata per facilitare il suicidio, ma per regolarizzarlo, con la speranza di diminuirne il tasso di crescita e aumentare così la produttività della forza lavoro e del Pil, con una ricaduta positiva per tutti a livello fiscale. In questo senso la clinica è sovvenzionata anche dallo Stato, ma tra i clienti si aggira anche una guardia delle finanza per verificare se non vi siano transazioni testamentarie in nero da parte dei pazienti a favore dello stesso dottore.
Le relazioni che si instaurano tra il personale e i pazienti, tra i pazienti e il dottore, sono tutte improntate sul perché non si dovrebbe farla finita e soprattutto su quando ciò possa avvenire, magari con modalità un po’ estrose: chi vuole morire simulando una battaglia nel Vietnam per soddisfare un suo sogno ricorrente, chi invece da ex tenore vuole cantare la marsigliese a tutti i pazienti e alla comunità locale… Ma il dottore, sempre impassibile e umanitario, dice molti no, perché il suicidio è un evento intimo, che non può essere spettacolarizzato.
Del resto la clinica non ha un buon rapporto con la comunità locale, tutti ne parlano con disprezzo. Il tutto della vicenda è costellato da dialoghi di un’ironia noir veramente spiazzante, in cui tutto diventa il contrario di tutto, dove la battuta diventa facile perché quel che si apprezza e si desidera è l’opposto di ciò che normalmente ci si aspetta dalla vita.
Nella seconda parte il film, purtroppo, non corre più con lo stesso tono, anzi corre troppo: con l’assalto di alcuni del posto alla clinica, gli spari, le uccisioni l’una dopo l’altra, in una dinamica di azione che va a coprire, forse con troppa ritrosia, una tematica che poteva e per me doveva essere maggiormente sviluppata. Un film che poteva essere una bomba… e invece si è perso un po’ nella seconda parte, anche se la prima, per il suo straordinario incipit e svolgimento, ne copre in parte le lacune.
Detto questo, le scene non mancano di produrre i suoi effetti come dicevo spiazzanti e anche drammatici: si pensi al paziente che non potendo suicidarsi secondo il protocollo, si chiude di colpo nel bagno e si taglia la gola; o al primo suicidio assistito che ci viene presentato con un dialogo che rasenta quasi uno stile alla Bergman, dove il paziente prima di assumere il veleno nello champagne viene edotto dal dottore che ha sempre la possibilità di pesarci, ma che una volta assunto il veleno, la sua decisione diventa tale per le sue conseguenze irreversibili: sono momenti esistenziali di forte impatto, ma momenti anche rari nell’economia della pellicola.
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